La politica rimane indietro, ma c’è chi cerca vie di sviluppo


Fanalino di coda, anche in Europa. Terra di ‘ndrangheta. Serbatoio di immigrazione. Ma si scorgono sintomi di un futuro di eccellenza e speranza.
di Giacomo Panizza
Nella “gente di Calabria” quale opinione di sviluppo locale è diffusa? Quale mutamento essa si aspetta, trovandosi in una quotidianità cruda, di fronte a dati che continuamente le confermano che abita nella regione più povera d’Italia? La Calabria risulta fanalino di coda in Italia negli indici di sviluppo umano, economico e sociale, a causa di disoccupazione, insuccessi scolastici, criticità del saldo migratorio, scarsa qualità della vita, carenza e l’inefficacia dei servizi alle persone.
L’80% della popolazione calabrese, inoltre, si trova costretta a convivere nel territorio con gruppi criminali mafiosi e a sottostare al predominio della ’ndrangheta, attualmente ritenuta la mafia più pericolosa, a livello locale e globale.
Nell’Unione europea, la Calabria è la residua regione italiana rimasta nell’Obiettivo uno, ovvero giudicata sotto le condizioni minime per potersi auto-sviluppare: è bisognosa di accrescere le proprie capacità di futuro, ma va accompagnata nel cambiamento, in particolare nella gestione ordinaria dei fondi dell’Unione, perchè non persista nella condizione di regione a dipendenza assistita.
In un simile quadro, si comprende la debolezza oggettiva dei calabresi che intendono scommettere sullo sviluppo locale, e il motivo per cui non diminuisce il numero di coloro che programmano di emigrare, piuttosto che avventurarsi a rischiare investimenti o a fare impresa in loco. Il sogno viene spesso infranto già in partenza.
La Calabria, dall’istituzione del Regno d’Italia a oggi, si è imbattuta in ostacoli che le hanno impedito di praticare uno sviluppo endogeno, che partisse dalle sue città, dalle sue campagne, dai circa 700 chilometri di litorale e dai mari che la circondano. Anche dove esistevano condizioni favorevoli, invece di evolversi si sono indebolite, e le cause del peggioramento vanno addebitate soprattutto a una politica locale e nazionale miopi, per certi versi scellerate, oltre che all’azione devastante della criminalità organizzata.

Fascino di miti e riti
I calabresi residenti nella regione sono due milioni. Ma ci sono centinaia di migliaia di emigrati in tutto il mondo, parecchi noti per i ruoli di responsabilità pubblica che ricoprono e per la loro abilità nel muovere economie positive e nel promuovere sviluppo locale. Ma altrove. Sarà possibile trasferire questa sfida anche nella propria terra? Quali risorse deve mettere in campo la società civile calabrese?
La società civile, non senza la chiesa calabrese – poiché l’associazionismo di base, volontariato di servizio e cooperazione sociale sono realtà concrete, inizialmente promosse sul territorio regionale proprio dalla chiesa -, esprime organizzazioni di eccellenza, all’altezza di contrastare l’inequivocabile trend di impoverimento diffuso, che comporta anche l’inibizione di molte capacità lavorative e imprenditoriali locali. Questa società civile si manifesta però come risorsa puntiforme, minoritaria, collocata all’interno di una cultura intimidita rassegnata alle logiche della ’ndrangheta. La quale ingaggia giovani anche esterni ai clan criminali e li attira approfittando della loro fame di pane, consumi e appartenenza simbolica e protettiva. Per rendersene meglio conto, basterebbe considerare il fascino esercitato su giovani e adolescenti da miti e riti mafiosi apparsi nella recente fiction televisiva sul “Capo dei capi”.
La cultura generale popolare, pertanto, appare arretrata rispetto a quella dei vari gruppi, diffusi a macchia di leopardo, che esprimono le loro idee e la loro lotta attraverso organizzazioni di base ed esperienze assai dinamiche e coraggiose, dalle associazioni antiracket (come quelle della piana di Gioia Tauro e di Lamezia Terme) alle reazioni giovanili della Locride e di Catanzaro, dalle esperienze di educazione alla legalità di Reggio Calabria e della Sibaritide all’uso sociale e produttivo (sempre più esteso) dei beni confiscati. Società civile e chiesa si trovano più volte insieme nel ruolo di promotrici di proteste contro mafie, corruzioni e ingiustizie. Ma si ritrovano anche a riflettere e a progettare per poter far scaturire decisioni politiche più favorevoli alla democrazia e capaci di coinvolgere la base popolare, economie più sociali, una società più accogliente. Esistono multiformi realtà sociali organizzate, in contatto con enti e soggetti di ispirazione cristiana, che promuovono insieme manifestazioni critiche verso coloro che il cambiamento non lo vogliono, e non da oggi.

“Disattenzioni” non casuali
Si capisce che stiamo parlando, a questo proposito, dei partiti politici. Accanto ad alcune lodevoli prese di posizione, come il sostegno al terzo settore che utilizza strutture confiscate alla mafia, o la copertura finanziaria di certe manifestazioni studentesche, o la promozione pubblicitaria sui mass media di una regione ricca di gioventù, ci sono elementi criticabili, perchè denotano l’assenta della politica. In particolare, essa risulta evanescente laddove occorre regolare l’economia e le responsabilità; laddove si devono controllare i processi gestionali ed evolutivi; laddove occorre passare dall’annuncio del cambiamento alla pratica del cambiamento. Essa risulta molto “indietro” rispetto alla polis della società civile organizzata.
Svariati gli esempi possibili. La Calabria non ha ancora attuato, per esempio, la legge 328 (che risale al 2000) di riforma dell’assistenza sociale; pur avendola recepita tre anni dopo, la tiene bloccata non varando il piano regionale degli interventi sociali né il regolamento dei servizi. La Calabria non ha nemmeno messo a punto la legge sulla cooperazione sociale, né ha recepito quella sulle associazioni di promozione sociale, e ha un’inadeguata legge sul volontariato. Non ha recepito la legge nazionale sull’handicap, pur in presenza della raccolta di migliaia di firme.
Sul versante della legalità, basti dire che esistono depositati quattro disegni di legge sulle associazioni antiracket, criticati dalle stesse associazioni perché superflui; un quinto disegno li riassume inefficacemente e le associazioni antiracket ne propongono una correzione sostanziale. Ebbene: anch’esso è fermo da mesi, mentre chi si muove e cambia sono giunte, commissioni e incarichi dei politici. La gente semplice interpreta queste “disattenzioni” come risultato del fatto che in Consiglio regionale ci sono, dato certo, ventidue onorevoli indagati dalla magistratura per reati che vanno dall’associazione mafiosa al voto di scambio alla distorta applicazione della legge 488 (sulla concessione dei finanziamenti a fondo perduto e a credito agevolato), e altro ancora.
In ogni caso, sebbene la politica appaia silenziosa sui temi dello sviluppo locale vero, nella società civile esistono soggetti che cercano, anche se con fatica, di disegnare il futuro di una Calabria diversa. è una minoranza alla quale la popolazione accorda fiducia morale; che è consapevole che ripartire col piede giusto si può. E si deve.