Politica e ‘ndrangheta, un rapporto obbligato

di Giacomo Panizza
Alla ’ndrangheta non basta fare business, e i politici lo sanno

Dal delitto Ligato all’omicidio Fortugno (il vicepresidente del consiglio regionale, ucciso all’uscita dal seggio il giorno in cui si tenevano le primarie del centro-sinistra) molto sangue è scorso in Calabria. Limitatamente al comprensorio della Locride, negli ultimi dodici mesi sono avvenuti ventitre omicidi mentre esecutori e mandanti rimangono in circolo sconosciuti. Tuttavia, la quota di criminalità organizzata denominata ’ndrangheta non pone solo questioni di sicurezza ma di politica e di interessi, dove ‘politica’ e ‘interessi’ vanno intesi nelle loro accezioni positive e propositive. Le intimidazioni e le aggressioni alla pubbliche amministrazioni sono frequenti, maggiori di quelle che vengono alla luce. Nell’anno in corso sono stati censiti, perché denunciati, sessantotto attentati verso gli amministratori pubblici calabresi, e di questi sedici sono stati rivolti a sindaci, diciassette agli assessori comunali, undici a consiglieri comunali, cinque ad amministratori provinciali, sette a quelli regionali, mentre gli altri hanno preso di mira beni pubblici.
Insieme al sangue versato e ad attentati subiti, si sono succedute diverse formule politiche al governo regionale, ciò nonostante poche situazioni sono sostanzialmente cambiate o rese capaci di mutare la sostanza delle cose. Come se la politica locale, al di là delle parole e delle richieste insistentemente formulate allo Stato centrale, non si decida a fronteggiare la criminalità qui, in Calabria, e in specie quella rappresentata dalla ’ndrangheta, il cui scopo palese è raggiungere il cuore delle istituzioni usandole senza scrupoli. Basti ricordare il fenomeno dei consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose. È indubbio che la ’ndrangheta non abbia solo fini di arricchimento economico, ma anche di presa e ridistribuzione del potere, utilizzando la forza e la violenza e l’uso delle armi arrogandosi il potere di decidere di uccidere.
Nei principi, politica e ’ndrangheta competono a governare il territorio, però nei fatti questa partita pare venga giocata solo da una parte in campo: la ’ndrangheta, la quale duella col potere politico non in quanto ‘normale’ organizzazione criminale ma in quanto ’ndrangheta. Ad esempio, le ‘normali’ organizzazioni che trafficano droga non necessariamente arrivano fino qui, a questo livello di controllo del territorio. Non hanno bisogno di delitti eccellenti, che diverrebbero boomerang di indesiderate e improduttive visibilità massmediatiche. A loro basta fare affari, così come alle organizzazioni trafficanti di esseri umani, di armi e così via. Ma la droga, gli esseri umani e le armi in mano alla ’ndrangheta non rappresentano solo un mercato nero o illegale, mirano piuttosto a controllare e dettar legge al territorio e alle istituzioni. E i politici locali lo sanno, come lo sanno tutti coloro che rifiutano di scendere in campo nell’agone politico indebolendo la lotta civile alla ’ndrangheta.
Insomma, gli ’ndranghetisti non sono ladri o prepotenti o assassini per soldi e basta. Ricchezza e potere per loro, come per le altre organizzazioni di stampo mafioso, sono congiunti. Non si accontentano di fare business. È noto — ad esempio – che in alcuni luoghi del Sud viene imposto un ‘pizzo sostenibile’, basso, non tanto per lucrare una ‘tassa’ a commercianti, professionisti e imprenditori, ma principalmente per stabilire un dominio sul territorio e sulla gente. La “presa del potere”, sugli altri e sul territorio, è dunque una pratica costante che va inclusa nella comprensione teorica della ’ndrangheta. Il rapporto esistente tra politica e criminalità in Calabria non si comprende concentrandosi sul tema della sicurezza pubblica, che da sola finisce spesso per penalizzare i più fragili e difendere gli interessi di alcuni, ma si capisce piuttosto mettendo al centro la politica a tutto tondo, cioè quella che promuove gli interessi di tutti.
L’incontro tra politica e ’ndrangheta è inevitabile, non esistono probabilità di vie parallele. Il rapporto è obbligato, lo scontro o l’accordo sono forzati, la lotta o il patteggiamento sono imposti, è solo questione di tempo; pertanto la politica deve preventivare il “come” del rapporto, lo deve calcolare e giocare adeguatamente, anche perché la ’ndrangheta lo ha già messo in agenda. E non tiriamoci in giro con slogan del tipo “Più uomini contro la mafia” oppure “Più mezzi e più soldi al Sud”, perché il problema vero è proprio “come” opereranno quegli uomini, “come” si impiegheranno quei mezzi, “come” si investiranno quei soldi. “Come” è l’aspetto squisitamente politico.

La politica può cambiare solo se cambia logiche e scelte
L’uccisione di Francesco Fortugno, domenica pomeriggio 16 ottobre 2005 nei pressi di un seggio delle “primarie dell’Unione” a Locri, parla alla politica. È diverso dagli altri ventidue accaduti in zona quest’ultimo anno perché il messaggio che trasmette palesemente non è diretto a precisi negozianti, nemmeno a identificabili imprenditori, commercianti o operatori economici. Segna la qualità delle azioni criminali verso i decisori politici in Calabria. Va inequivocabilmente oltre il tema criminalità: è politica. Indica, anche ai ciechi e ai sordi, che la criminalità propone e impone una sua direzione alle cose che la politica locale, regionale e romana dovrà intendere. Altrimenti… In premessa, come nella tragedia greca classica, anticipa una disgrazia finale che è destinata ad avverarsi, che è nell’ordine delle cose, e che va messa in conto fin da subito.
Francesco Fortugno è stato un personaggio umano e politico gradito da tante persone e da parecchi ambiti locali di vita e di cultura. Quest’estate mi è capitato di presenziare insieme a lui e altri, in pieno Aspromonte, all’inaugurazione di una struttura promossa dalla cooperativa Mistya, la Casa dei Folletti. Un rifugio montano per turismo sociale, due casette ristrutturate al Passo Croce Ferrata, nei pressi del Villaggio Paradiso, ieri luogo di vacanze estive per famiglie, ora totalmente distrutto, incendiato dalla criminalità. Ebbene, l’onorevole Fortugno raccontò come lui più volte, amante della caccia, transitando per il Passo amasse fermarsi a osservare queste case diroccate, a ricordare le vacanze trascorse da piccolo con altri bambini e famiglie, a evocare la scena del villaggio bruciato dalla mafia e la rabbia dei villeggianti e della gente. Manifestò contentezza per quella scelta di ristrutturazione delle due casette con cucina e posti letto, e dichiarò apertamente che contro la ’ndrangheta occorrono reazioni concrete di partecipazione e di ricostruzione delle cose distrutte. Per dire la nostra e guardare avanti con coraggio. Invitò tutti a ritrovarsi insieme quando l’Enel avrebbe portato la corrente elettrica alla zona, poiché lui stesso avrebbe fatto di tutto per far arrivare al più presto la luce in quel luogo. È stato ucciso prima.
Non aveva la nomea di politico abituato a fare scambi di voti, seppur nell’ultima tornata abbia triplicato i suoi togliendoli a qualcun altro; era bonario e popolare, anche per il suo ruolo di medico. Come tanti altri nella sua stessa posizione aveva conoscenze, incarichi e reti nel mondo della sanità calabrese (la quale impiega il 64% del bilancio regionale di cui il 44% va ai privati) e in Calabria, contro e dentro la sana sanità, oltre e più che la ’ndrangheta si muove alacremente la massoneria.
Questo omicidio è di stampo mafioso per tecniche, metodi e linguaggi. La spavalderia con cui è avvenuto sentenzia: “Qui comandiamo noi”. È un salto di qualità rispetto ai precedenti avvenuti nella Locride. Sembra un messaggio da mafia siciliana, concepito da una cupola, da una federazione o organizzazione super partes notoriamente improbabile per le ’ndrine, clan di cani sciolti e collaborativi nemmeno tra di loro. Il messaggio è sicuramente diretto al potere politico. Infatti, non dagli altri ventidue ma solo da questo omicidio scaturisce la domanda se la ’ndrangheta stia lottando per il dominio, non su un uomo politico o su un partito o un affare, ma sulla politica, e la risposta da dare sembra “Sì”.
Se ieri la ’ndrangheta raggiungeva il potere politico pressando su certi personaggi e ceti, oggi i suoi percorsi sono l’influenza sul voto, specialmente incalzando coloro che ‘possiedono’ e determinano pacchetti di voti. Su di essi aumenta il controllo. Pertanto, una politica avulsa dai partiti risulta più vulnerabile. La ’ndrangheta va a caccia dei pacchetti di voti e dei grandi elettori. Senza partiti organizzati, a struttura comunque democratica, non c’è difesa antimafia. Anzi, c’è una smisurata delega alla magistratura, riducendo il fenomeno ’ndrangheta a un problema di rapine e di omicidi e malaffari, mentre invece è potere reale sui territori e sulla politica. In un quadro siffatto anche i successi più clamorosi delle forze dell’ordine o i gesti di grande valore simbolico e culturale di legalità sono condannati a restare episodici, non riuscendo a porre basi di vivibilità e di giustizia future.
In questi giorni immediatamente seguenti al delitto Fortugno ci martellano notizie a catena di rastrellamenti, sequestri di droga, catture di latitanti e quant’altro serva a rassicurare la gente che il governo c’è. Da qui, dalla Calabria invece si tocca con mano che il governo non c’è per ciò che serve contro la ’ndrangheta, per cui anche quei successi eclatanti notiziati dai giornali e dalle televisioni lasciano il tempo che trovano. Ai locresi non sfugge che dopo tanti morti ammazzati se ne parli solo ora dopo quest’ultimo; come ai calabresi non sfugge che non si diano notizie adeguate degli uccisi nelle altre zone dello Jonio reggino, di Lamezia Terme, del Vibonese o della Piana di Gioia Tauro, della Sibaritide o dell’alto Tirreno cosentino. Come non si parla affatto delle saracinesche che la notte saltano in aria per intimorire le coscienze e indebolire la società. Il mondo politico calabrese sa benissimo tutte queste cose. La ’ndrangheta riproduce questo suo sistema di potere, mentre la politica arranca a difendersi apparati amministrativi e simulacri di partito.
La politica agita in Calabria non è quella dei partiti. Siamo tutti consapevoli che l’incontro della politica con la ’ndrangheta è destinato nei tempi medi e lunghi a indebolire il potere politico a vantaggio di quello criminale. Occorre spezzarlo. Sarebbe ora che certi politici si decidano a intessere accordi con la società solidale piuttosto che con personaggi e aggregazioni dubbie se non notoriamente criminali. Sarebbe ora, perché con quei personaggi non si può fare politica contro la ’ndrangheta. È tempo che i partiti e la società facciano politica insieme, altrimenti la società organizzata si distanzierà ulteriormente dalla politica per fare politica in altro modo. A scapito di tutto e tutti fuorché della ’ndrangheta.
Novembre 2005