Riaprire il carcere e valorizzare l’accoglienza

di Giacomo Panizza
Non va bene che il carcere rimanga chiuso più a lungo. Se Lametia Terme perdesse il “suo” carcere verrebbe privata di una opportunità indispensabile per vivere meglio la legalità di cui essa ha bisogno in questo periodo di sconcerto delle coscienze. La città ha bisogno di assumere le proprie responsabilità e non di ricercare soluzioni accomodanti a questioni scomode.
Dico questo guardando in avanti con la speranza che nel prossimo anno 2004 – come assicurano gli addetti ai lavori – si riaprirà il carcere nell’ex convento dei “Padri Riformatori” la cui costruzione risale al 1300 ed adattato a Casa di pena subito dopo la proclamazione del Regno d’Italia.
Certo, la capienza prevista di circa 50 posti può sembrare poca cosa in confronto al “giro” delle persone detenute in Calabria, che nel 2002 ha interessato la presenza di 2074 uomini e 17 donne. Eppure la sua solida figura interroga la nostra vita sociale, politica, culturale ed ecclesiale. Un carcere rimesso a nuovo, cosa potrà offrire a Lametia Terme?
È noto il parere del papa Giovanni Paolo II sulla realtà carceraria italiana. Egli in più discorsi ha inteso “ribadire e constatare ciò che parlamentari, giornalisti, amministratori locali, direttori di penitenziari e volontari presenti in quelle strutture, docenti di scuole di ogni ordine e grado … sanno, constatano e vorrebbero cambiare”, auspicandosi che la Chiesa e la società porranno mano al “tema carcere” al fine di cambiare la pena detentiva con percorsi sempre più umanizzanti.
In questa prospettiva si sta muovendo il “Provveditorato Amministrazione Penitenziaria Regione Calabria” che per i programmi futuri da attivare nelle carceri regionali esprime auspici sulla medesima onda del papa, scrivendo: “La sfida è quella di stimolare il sociale e consolidare l’impegno attorno all’uomo in detenzione, e conseguentemente incrementare un umanesimo solidaristico, capace di sfatare luoghi comuni perché finalmente, dalla pedagogia delle parole si passi a quella dei fatti”.
Di fronte a questo proclama di coinvolgimento del “sociale”, quando verrà riaperta la Casa circondariale di Lametia Terme, noi cittadini e cittadine ci dovremo domandare non solo se sarà stata rimessa a posto la facciata della prigione, o qualche muro del carcere, o le pareti delle celle, e nemmeno solo se gli operatori dell’Istituto penitenziario saranno — loro – pronti a ricominciare; soprattutto invece ci dovremo interrogare se anche noi stessi saremo preparati a sostenere questa sfida. C’è da umanizzare di più il carcere, ma c’è da umanizzare di più anche la nostra città.
Quando riapriranno il carcere auguriamoci di essere meglio preparati alla sfida dell’accoglienza, perché i carcerati non sono il carcere. Sono persone con le quali e per le quali trovare da noi le opportunità di reinserimento sociale e lavorativo, per non abbandonarle nei circuiti dei capicosca e dei clan criminali. Dovremo sapere da noi incontrare le persone che costituiscono il cosiddetto “carcere invisibile”, che escono in esecuzione penale esterna trascorrendo molte delle ore giornaliere in mezzo alla gente, per strada, sul luogo di lavoro, al bar, per poi rientrare alla sera in cella. Dovremo sapere da noi svelare il “carcere nel carcere” di coloro che come “poveri cristi” sono privi di possibilità di socializzazione. Dovremo sapere da noi partecipare con l’Amministrazione giudiziaria a creare progetti di giustizia per detenuti ed ex detenuti che intendono in qualche modo risarcire le vittime attraverso un servizio di volontariato rivolto a persone o alla collettività. Queste abilità di accoglienza vanno viste come opportunità per la città, grazie alla presenza del carcere.
Una città solidale dona visibilità al “suo” carcere rimesso a nuovo, inventa strade possibili per “parteciparlo” e “governarlo”, non si rassegna al fatto che venga utilizzato come un semplice “contenitore” di detenuti. “Visitare i carcerati” è sempre stata una buona azione “di chiesa”; dovrebbe diventare sempre più anche impegno della società.

16 novembre 2003