Voglio raccontarvi il sogno del dottor Zappia e del vescovo Tortora

di Giacomo Panizza
C’era una volta una bella villa, grande e comoda, ma dentro era vuota e le sue porte e finestre rimanevano chiuse. Tutt’a un tratto quell’atmosfera si animò, risvegliata da voi e da molti altri prima di voi.
Carissimi Piero e Francesca, Rossana e Fabrizio, Maria e Gioele e gli altri, so che siete amareggiati per ciò che sta accadendo alla villa della Fondazione Zappia, e non tanto alle sue mura ma a voi che la frequentate, aiutati dalla cooperativa Mistya o che partecipate alle manifestazioni della Gurfata. Altre volte ci siamo incontrati intrattenendoci sui temi del lavoro, sui problemi della psichiatria, sul futuro dei giovani; stavolta, invece, vi chiedo la pazienza di ascoltare perché ho da raccontarvi i particolari di una bella storia che vi riguarda.

È noto a tutti ormai che con l’ultimo cambio di presidenza del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Zappia su voi piovono lettere di sfratto e citazioni in tribunale, e che ora siete più esposti a rischi di emarginazione, fragilità, povertà e handicap. Ecco, in questo momento di preoccupazione in cui temete: «Ci vogliono ributtare in mezzo alla strada!», e decidete di mettere in campo azioni nonviolente di resistenza, io vi invito anche a rivolgere un pensiero di gratitudine verso due persone che, pur senza avervi conosciuto, pensarono a voi, vollero il vostro bene. Vollero il contrario di ciò che qualcuno sta tentando di determinare sulla Fondazione Zappia.

La prima di queste persone è il dottor Giuseppe Zappia, magistrato della Suprema Corte di Cassazione, il quale a suo tempo, con volontà testamentaria, decise di lasciare buona parte delle sue sostanze per le attività sociali e assistenziali da svolgere attraverso una fondazione: per l’appunto la Fondazione Zappia che vi ospita.
La seconda persona a cui rivolgere la vostra riconoscenza è Monsignor Francesco Tortora, vescovo di Locri-Gerace, che nel lontano 26 maggio 1987 mi volle al capezzale del suo letto di malattia per esprimermi il desiderio di rimettere in moto le attività sociali nella villa della Fondazione Zappia, a quel tempo non operante.

Fu un incontro commovente. Il vescovo giaceva nel suo letto, malato e affaticato, ma con la lucidità e la volontà di non lasciare intentato ciò che gli stava a cuore. Coraggiosamente chiese aiuto, captai la sua tenerezza rivolta ai bisognosi, mi confidò che prima di morire sentiva il dovere di trovare una soluzione all’incuria in cui versava la Fondazione Zappia: ville chiuse e terreni i cui prodotti non si finalizzavano al raggiungimento degli scopi della Fondazione, cioè l’assistenza ai bisognosi!
Come rifiutare di mettergli a disposizione la Comunità Progetto Sud con le Comunità di Capodarco? Dopo il mio sì mi benedisse e mi ringraziò. Morì poco tempo dopo; nondimeno aveva avviato le procedure legali per poter realizzare il proposito di ridare dignità alla Fondazione Zappia, una dignità che la dabbenaggine di alcuni lasciava deteriorare nelle sue mura e ostacolava nel raggiungimento dei suoi nobili scopi.
Ci fu un lampo di ottimismo. Gli amministratori facilitarono fin da subito l’avvio delle attività sociali deliberando di costruire un accesso alla villa senza barriere architettoniche. Ma tutto si fermò lì. Le attività da svolgere, completamente in carico alle comunità di Capodarco, rimasero senza il luogo, senza la struttura, poiché gli amministratori della Fondazione poco o niente realizzarono o poterono realizzare per assolvere al loro dovere di ristrutturare interamente la villa per come concordato dalla convenzione, secondo le norme tecniche previste dalla legislazione italiana e secondo il progetto redatto dall’ingegnere Vincenzo Antico regolarmente visionato da entrambe le parti e già approvato dalla Commissione Edilizia del Comune di Locri.

Dal 1987 fino ad oggi tutto quello che si è concretizzato è stato frutto dapprima dell’impegno delle comunità di Capodarco tramite la Comunità Progetto Sud, e poi della cooperativa Mistya. La Fondazione in sostanza non ha mantenuto fede ai patti convenuti e sottoscritti, non ottemperando alla volontà testamentaria del dottor Zappia e vanificando l’estremo sforzo del vescovo Monsignor Tortora.

La storia che sto raccontando, carissimi e carissime, è disseminata di ostacoli e difficoltà, ma auguro che si imprima nelle vostre memorie come una delle belle storie della locride perché è costellata da innumerevoli fatti educativi e solidali portati avanti dall’impegno del volontariato, da tanti laici e laiche, da persone con disabilità, da minorenni, da giovani e adulti con sofferenza psichiatrica, da sacerdoti e religiosi e religiose, cioè da una moltitudine di persone della locride e di altrove della Calabria e non solo! Questa storia è bella perché ha fatto respirare le mura dell’antica villa di speranze e voglia di futuro di tanta gente che a partire da lì si è impegnata dando vita a gruppi, a cooperative, a socialità nuove. Non scorderò mai la festa notturna sulla piazza di Locri, con girotondi di balli e suoni e colori di persone in carrozzina a rotelle, in solidarietà ad Angela Casella incatenata sul marciapiede della strada principale per chiedere che qualcuno cercasse suo figlio sequestrato in Aspromonte.

Storie così belle abbisognano di sostegno e di continuità, ma non delle mura bensì delle persone e delle organizzazioni che le animano. Io credo che gli attuali amministratori della Fondazione Zappia capiranno l’importanza di non apportare ulteriori ostacoli a chi si è impegnato tanto a dare vita a quei muri spenti. Io non riesco a capacitarmi che i rappresentanti degli enti di garanzia della Fondazione, quali la Diocesi, il Provveditore agli Studi, il Consiglio comunale, la Pretura del mandamento di Locri, lascino rovinare l’operato di chi aiuta giovani e adulti in difficoltà. Io credo che nella locride c’è chi sosterrà la continuità del bene che si sta facendo. Prego affinché nessuno spezzi il filo delle fatiche e delle speranze nate e cresciute in quella villa antica e significativa, e sono solidale con tutti e tutte voi che la state scoprendo come la casa del vostro riscatto.
Con fiducia.

don Giacomo Panizza

Lamezia Terme, 4 febbraio 2009