Rafforzare le relazioni, ripartire dalla comunità. Fandango per l’ open day 2020
“Rafforzare le relazioni, ripartire dalla comunità” è tema dell’ open day 2020 promosso dal Tavolo Ecclesiale Dipendenze di cui fanno parte Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Casa dei giovani, Compagnia delle opere-Opere sociali, Comunità Emmanuel, Comunità di Sant’Egidio, Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca), Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict), Salesiani per il sociale-Federazione Scs/Cnos, in collaborazione con la Caritas italiana.
In tutta Italia il 14 e 15, il 21 e 22 novembre, diverse strutture delle organizzazioni sono state aperte alla cittadinanza e alle comunità ecclesiali, anche in modalità online a causa dell’epidemia di Covid-19 per fare conoscenza, ascoltare storie e condividere un pezzo di strada insieme. Aprire le porte per raccontare noi stessi, il lavoro che facciamo, le storie di chi anima le nostre strutture e i nostri progetti.
Anche la Comunità Progetto Sud, con la sua Comunità Terapeutica Fandango, che fa parte della rete del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA), ha trovato il modo per portare fuori dalle mura di Via delle Vigne, il proprio vissuto.
Durante le attività quotidiane in queste settimane abbiamo trovato il tempo di mettere insieme testimonianze di vita e di sentimenti che stanno attraversando i ragazzi e ragazze in questo tempo di pandemia.
Le abbiamo trascritte e oggi, domenica 22 novembre dalle 16.00 alle 17.00 le abbiamo condivise.
È stato fatto un lavoro di gruppo, come spesso avviene qui. Alle sollecitazioni degli operatori hanno risposto le persone che all’ interno di Fandango stanno facendo un percorso di cura e reinserimento.
Ognuno ha trovato il proprio modo per esprimersi. Tanti hanno scritto e poi letto. Amedeo ha composto “Scriveremo”, musica e parole, per una canzone che racconta come è la pandemia vista da qui.
Un giorno lo racconteremo ai nostri figli o ai nostri nipoti mentre loro lo apprenderanno dai libri di storia e ci chiederanno: «Ma c’eri pure tu? Anche tu portavi la mascherina?» Diremo: «è passato, ma non è stato semplice» e ciò che immagino è che lo racconterò, di sicuro con un sorriso sulle labbra, aggiungendo «sai mi piaceva tanto usare mascherine simpatiche con tanti fiori pur non mostrando il mio sorriso».
Domani sarà così, oggi però il mio sorriso è ancora coperto da una mascherina. Ma oggi non uso più le mascherine di stoffa con i fiorellini, preferisco quelle ffp2 perché sono più sicure e perché il virus sta ancora prendendo troppo piede e perciò bisogna stare molto più attenti. Come dice mia nonna: “è disgraziatu e tu figlicella mia statti attenta”; sorrido ma dentro di me ho paura. Ho paura soprattutto per te, nonnina.
Il mio sorriso traspare ugualmente dagli occhi, ed è bello sentirselo dire dagli altri che se ne accorgono. Non è facile spiegare che cosa si nasconde dietro la parola “coronavirus”. Vivere una pandemia nel XXI secolo? Chi l’avrebbe mai detto! Dalla storia dobbiamo imparare e per dirlo con le parole di Alessandro Manzoni “Non sempre ciò che viene dopo è progresso”. È arrivato nel mondo in punta di piedi e improvvisamente ha preso il sopravvento nelle nostre esistenze.
Ha sconvolto il mondo intero, tutta la nostra quotidianità e sta mettendo a dura prova le nostre fragilità. Queste fragilità per molti si stanno trasformando in punti di forza e per tanti altri, purtroppo, si stanno trasformando in dolori difficilmente gestibili.
Il mondo intero si è trovato disarmato. Una mascherina non basta a proteggere le nostre vite. Però la frase, lo slogan di questo periodo “Ce la faremo” ci ha dato e ci dà coraggio.
Tutta questa situazione suscita paura, a me fa paura, a noi fa paura.
Perché? Ho paura per mia nonna, che ha 89 anni, mi fa paura per mio padre che ha problemi respiratori e mi fa paura per tutti quei ragazzi che oggi affrontano nella nostra Comunità un percorso Riabilitativo. Ragazzi e ragazze a cui la droga o l’alcool hanno contribuito a danneggiare la loro salute.
E io porto il carico della responsabilità non solo verso me stessa ma anche e soprattutto verso di loro.
La mattina prima di iniziare il turno entro in comunità disinfettando tutto e inizio la classica vestizione che tutti gli operatori del Sanitario fanno ormai da mesi tutti i giorni.
Come li capisco… capisco quanto sia pesante per ore e ore respirare con una mascherina che però protegge me e gli altri dal Coronavirus.
Una mascherina che protegge ma che mi fa respirare a fatica. Una tuta che mi impedisce di muovermi, che mi fa sentire un caldo assurdo, che mi fa sentire ingombrante. Ho gli occhiali e la mascherina mi impedisce di vedere in modo chiaro: tutto si appanna e io sto lì a pulirli in continuazione, a indossare guanti troppo grandi per le mie manine troppo piccole.
Tutto ciò non mi impedisce però di avere paura. L’attenzione è sempre alta, come ripete sempre la nostra responsabile: «la guardia non va mai abbassata!».
E poi ci sono loro, gli ospiti della Comunità: «Dai Angelì non c’è bisogno che mi stai lontano», «Angelì toglila questa mascherina che si vede che non ce la fai più», «non ti preoccupare che tu Covid non ne hai», a volte è difficile spiegare anche l’importanza che ha lo stare in silenzio, mi chiedo se loro stando ormai da mesi in struttura abbiano la consapevolezza di quello che succede ormai da mesi all’esterno.
Di certo a loro non fa piacere stare “chiusi”, non poter uscire per frequentare corsi di formazione, svolgere attività all’esterno, andare all’Erbaio e dedicarsi alla coltivazione del nostro orto sociale.
Forse non vivere “fuori” permette di non cogliere l’emergenza che ci circonda? Forse stare lontani dal contagio permette di vivere più sereni? Forse mi sbaglio. Forse non so neppure io cosa passa in ognuno di noi e forse ognuno di noi affronta la paura del Covid in modo diverso. Forse se ognuno di noi avesse più amore verso gli altri e verso se stesso riuscirebbe ad avere una soglia di attenzione maggiore? Forse… Quando fai un lavoro come il nostro una pacca sulla spalla di un collega aiuta, e tanto! Uno sguardo compiaciuto di una nonnina ti dà forza! Ma abbiamo imparato che anche un abbraccio, pur solo virtuale, inviato in un sms da un’amica ti dà coraggio, una parola di un ospite in Comunità e l’affetto e la carica che riceviamo ogni giorno ci spinge a continuare a far bene il nostro lavoro.
Chi mi conosce sa che riesco sempre a vedere il bicchiere mezzo pieno, come si dice. E lo so che vedremo la luce in fondo al tunnel anche se ora sembra ci sia solo nebbia. O forse sono gli occhialini che mi appannano la vista 😉
Credo nel senso civico delle persone, anche se è stato necessario attuare misure estreme affinché la distorta percezione del rischio per qualcuno diventasse reale. Credo nel sacrificio che è stato richiesto a ognuno di noi. Credo anche che il Covid stia avendo un rilevante impatto psico-sociale oltre che economico. È una vera battaglia e le vere armi per combattere il virus siamo noi, le persone, la speranza, l’empowerment, il buon senso, i farmaci, i DPI, i professionisti con la loro formazione e professionalità, la responsabilità, la ricerca. Noi continuiamo a lottare insieme, ognuno con le proprie competenze e possibilità. Forza e coraggio, non solo oggi, ma anche domani. #ANDRATUTTOBENE.
Angelina Ianchello, operatrice della Comunità terapeutica Fandango, Lamezia Terme.
Sono Adriana un’operatrice della Comunità Terapeutica “Fandango”, a Lamezia Terme, in Calabria.
Mi è stato chiesto di raccontare la mia esperienza di lavoro e le mie sensazioni in questo tragico periodo di crisi che sta attanagliando l’umanità a livello globale. Penso non serva specificare a cosa mi riferisco perché purtroppo abbiamo tutti imparato a convivere col termine “Covid-19”. Tutto è partito in Cina a ridosso tra il 2019 e il 2020 quando il telegiornale continuava a parlare di una particolare epidemia che stava decimando la popolazione, mettendo in ginocchio l’epicentro di un’ignota cittadina chiamata Wuhan. Già … in Cina. Ma noi eravamo in Italia giusto? Quindi perché dovevamo preoccuparci per un qualcosa che stava accadendo tanto lontano da noi?
Eppure, ahimè, in brevissimo tempo tutto è cambiato mettendoci di fronte a un’emergenza che in poco tempo avrebbe scombussolato la vita di tutti.
A febbraio l’OMS (Organizzazione Mondiale della sanità) dichiara l’emergenza sanitaria e in brevissimo tempo si sarebbe parlato di “pandemia”, una parola a cui la nostra generazione non era abituata se non per quanto letto sui libri di storia alla voce “Spagnola”.
Da quel momento tutto è cambiato. Dal 10 marzo 2020 l’Italia intera diventerà zona protetta: ci è stato chiesto dal nostro Governo di restare a casa e l’Italia si è fermata! Per limitare il diffondersi della malattia ci viene chiesto di indossare delle mascherine, di mantenere il distanziamento sociale, di lavarsi frequentemente le mani, mantenere puliti i nostri ambienti e di controllare la nostra temperatura corporea. Abbiamo iniziato a indossare le tanto odiate mascherine, da quelle chirurgiche alle FFP2 a quelle di stoffa colorate e fantasiose; all’inizio è stato molto difficile accettare tutto questo ma ora prima di uscire di casa ognuno di noi, oltre a chiavi e cellulare, ha con sé una mascherina!
Durante l’estate tutto è sembrato essere tornato alla normalità… abbiamo messo da parte l’emergenza dimenticandoci del virus.
Ma è arrivato ottobre e il virus sembra essersi risvegliato… Aumento dei contagi, nuovi focolai, di nuovo scatta l’emergenza e l’Italia viene colorata nuovamente: un po’ rossa, un po’ gialla e un po’ arancione.
Questa volta solo alcune regioni si colorano di rosso, tra cui la nostra amata terra Calabra e ci troviamo a vivere nuovamente nella confusione, nell’incertezza e nella paura già provata quest’inverno quando si iniziò a parlare di Covid-19.
Non nascondo di aver attraversato anch’io momenti di paura. A tratti li vivo tutt’ora.
Chissà, forse avranno ragione anche quelli che dicono che la TV esagera e che forse stiamo ingigantendo la cosa, ma al momento mi sento come se la mia “normalità” fosse in qualche modo in standby. Ferma. Ad aspettare quel pizzicotto che ti sveglia da quell’ incubo assurdo che stai facendo. Insomma, avete presente la tranquillità e la spensieratezza a cui eravamo abituati? Ecco, per ora siamo da tutt’altra parte.
Devo ammettere però che la vita di Comunità ha aiutato molto anche me. Per carità, non nego che sia molto difficile svolgere le normali attività bardati coi DPI, ma ci si adegua e si cerca in tutti i modi di salvaguardare la salute dei nostri ragazzi e ragazze. In fondo, non bisogna dimenticare che per loro siamo noi operatori il pericolo maggiore. Siamo noi quelli che andiamo in giro, e di conseguenza siamo noi che potremmo portare il virus nella nostra struttura rischiando di contagiare gli utenti dei quali ci prendiamo cura ogni giorno.
Ma devo dire che recarmi al lavoro mi fa stare meglio. Con i colleghi e gli utenti, all’interno della struttura, ci sentiamo in qualche modo isolati, protetti, al sicuro. E nonostante i disagi, i dispositivi di sicurezza e le distanze che sempre manteniamo, in qualche modo quello che facciamo mi dà serenità. Infatti, mi chiedo: in questo momento sono io che aiuto gli utenti di Fandango, o sono loro che contribuiscono a non farmi scontrare continuamente col pensiero della pandemia?
Io una risposta non sono ancora riuscita a darmela, ma di sicuro ce la metteremo tutta per salvaguardare la salute dei ragazzi e per ripagarli in qualche modo per l’aiuto che anche loro ogni giorno danno a me. Quando questo nemico invisibile sarà sconfitto anche la confusione e la paura scomparirà lasciando spazio alla spensieratezza e alla libertà!
Non mi arrenderò e non mi abbatterò. Mai mollare … Ce la faremo …!
Adriana Barbarossa, operatrice della Comunità terapeutica Fandango.
Riflessioni a ruota libera
“Covid” questa è la parola che risuona nelle nostre orecchie, la parola che ci fa pensare, che mette in moto le nostre più profonde paure, attenzione, precauzione, contagio, morte, salvezza, speranza, resistenza, tutto un cocktail di emozioni, gesti e pensieri a cui ci appelliamo per cercare di fronteggiare questa terribile bestia. Persone che hanno gridato aiuto e purtroppo tutto questo non è servito. Pandemia così è stata definita.
Il mondo si è fermato per tre lunghi mesi, nella storia l’umanità ancora una volta è messa alle strette con un qualcosa a cui ancora non trova rimedio e non può fronteggiare.
Chiusi e al riparo da questa tempesta la preoccupazione di poter essere contagiati, la stanchezza di essere rinchiuso, l’amarezza di non poter abbracciare un proprio caro un proprio amico o semplicemente una normale vita quotidiana. Distanziamento, ci dicono, la vita da ora in poi non è più la stessa. La paura ci opprime, il dubbio di non potercela fare ci rende ancora più irrequieti.
L’umanità lotta con tutti i mezzi a disposizione ma senza conclusioni, senza concretezza. Un lockdown continuo, aumentano i morti e i contagi, la morte bussa e la porta è sempre aperta.
Scienziati, infermieri, medici, volontari, lottano quanto meno nella speranza di avere un responso positivo e poter dire che qualcuno c’è l’ha fatta ed è guarito.
La speranza: sì proprio a questa ci appelliamo come nostra unica salvezza, ancora una volta affidiamo la nostra vita in mano ad essa, in mano a un destino che se davvero lo vorremmo non ci volterà le spalle ma ci renderà persone migliori.
Amedeo
Le mie emozioni per il coronavirus che sto vivendo in questo momento: sono paura e ansia anche perché io ho problemi di salute e quindi la paura è doppia. Spero che tutto possa tornare come prima.
Giuseppe
Io, questo coronavirus lo sto vivendo con la preoccupazione che nonostante essendo in una struttura protetta gli operatori che sono al nostro servizio, avendo anche loro una vita provata all’esterno della struttura, aumenta il rischio di poter essere contagiati.
Sebastian
Io in questo momento sto vivendo la comunità un po’ diversa dai primi tempi, nel senso che si comincia ad avvertire un po’ di ansia perché non si esce più, vedo gli operatori con mascherine e tuta e mi convinco che il rischio c’è ed è reale nonostante siamo tutelati.
Fabio
Penso che sia arrivata la fine del “mondo”, non c’è bisogno di andare oltre la frase. Finisce, punto.
Pasquale
In questo momento le sensazioni che provo per il coronavirus non sono tante visto che siamo chiusi. Non avendo contatti con l’esterno non mi rendo conto della gravità che realmente si vive fuori visto che la prima ondata l’ho vissuta all’esterno ed è stata una brutta esperienza; non potevo andare neanche dai miei per vederli. Come emozioni si vive ansia, paura e angoscia. Qui dentro non ho provato tutte queste cose ma un po’ di paura quando qualcuno si ammala, io in primis.
Francesco
Niente. Io sono entrata in comunità il 9 ottobre. Sono partita che già fuori c’era questa pandemia così brutta da dire, e da vedere tramite il telegiornale. Niente. Sopra a questo punto di vista la cosa più brutta è stato quello di stare chiusa in una stanza per 10 giorni.
Ma prima di succedere ciò sono stata altri 15 giorni a casa da papà e altri 20 all’ospedale … onestamente tutto ciò che mi fa molto paura anche perché con la mia salute attuale che ho ciò mi fa spaventare parecchio.
Mi fa stare male ciò ancor di più. Spero che tutto ciò si possa sistemare nel migliore dei modi e che la vita torna a essere come prima.
Valentina
Questo coronavirus lo vivo male, perché il mio unico pensiero sono i miei figli, per cui vorrei essere vicino a loro per dargli la forza con la mia presenza.
Carmelo
A me sinceramente del coronavirus non è che poi me ne frega più di tanto. Anche perché a mio modesto parere, la cosa viene amplificata. Da noi in Svizzera un vero e proprio lockdown non c’è mai stato, perciò non riuscirei nemmeno a spiegare o a raccontare un’esperienza di questo genere. Le devo descrivere la sensazione o l’esperienza che sto vivendo in questa situazione particolare del Covid-19 all’interno della comunità, posso dire che la vivo abbastanza tranquillo. Se proprio dovessi descrivere un momento di ansia o preoccupazione, è ogni qual volta ci viene comunicato dai responsabili lo stato attuale fuori, ma poi passa subito.
Dato che ho un genitore fuori, mio padre, che si sta sottoponendo a degli esami e a delle terapie per un malore, è questa l’unica circostanza che mi fa riflettere e preoccupare un po’. Per il resto, non credo a tutti gli effetti ai media, giornali e notizie sul web. Per non parlare del governo ridicolo, vergognoso, incoerente e corrotto che amministra questo paese. FUCK COVID19. Viva la libertà. Viva la salute.
Gianfranco
In questi giorni di quarantena per il coronavirus da quasi un anno, pensavamo che l’avevamo superata tutta questa situazione ringraziando tutti i medici e tutte le persone che si sono dati da fare. C’è stato un periodo di chiusura, si poteva uscire di casa solo per emergenza. Adesso purtroppo la situazione è molto grave rispetto a quella di febbraio, c’è tensione, paura, e se hai febbre o tosse pensi subito al coronavirus. Io adesso sono lontano dalla mia famiglia e penso a quelle persone che hanno perso parenti e figli. Io sono entrata in comunità il 5 novembre del 2020. Ho dovuto fare il tampone prima di entrare e ho fatto 10 giorni di quarantena. È brutto stare in una stanza senza uscire, usare la mascherina, stare a distanza dagli altri.
Io la sto vivendo così in comunità perché dentro non capisci cosa sta succedendo veramente. Sai qualcosa solo tramite i telegiornali, mi fa stare male vedendo i medici carabinieri con quelle tute, con mascherine e guanti di lattice. Io spero che ce la faremo e supereremo questa crisi, e che passerà tutto.
Natascia
In questo periodo che sto trascorrendo in comunità viviamo questo grande problema causato dal covid 19. Non essendo la prima comunità ora la sto vivendo malissimo perché a causa di ciò non si può uscire, non si possono fare incontri con i parenti, insomma tutto è in un “circuito chiuso” e bisogna ogni giorno adoperare le dovute precauzioni per la nostra e l’altrui salute. Le sensazioni e le emozioni che mi sto vivendo non sono delle migliori, ci sono giorni tristi che non ho neanche voglia di parlare con gli altri, però poi pensando a quello che sta succedendo fuori di qui mi rianimo e cerco di trovare la forza e la motivazione per ritornare a sorridere e trascorrere le giornate più positivamente. La paura che questo virus possa entrare qui all’interno è altissima, e anche se siamo tutelati l’ansia che provo dentro di me mi fa essere diverso, e a volte anche di notte ci penso e prego perché si riuscirà a studiare un vaccino idoneo e che tutto ritorni nella normalità.
Fabrizio
Ai tempi del covid-19 io sono stato fuori e ho avuto difficoltà a vivere con questo coronavirus. Quando sono entrato in comunità ho visto una vita diversa, da fuori ho visto gente che veramente soffre, persone che lavorano in questi tempi difficili. Qui ho visto i nostri operatori fare molti sacrifici per stare con noi.
Andrej
Decido io di entrare in comunità per curarmi: il periodo non è facile, a causa covid incontro qualche difficoltà a entrare… Tampone obbligatorio; esito negativo. Appena entrato: quarantena 10 giorni, brutti, sempre solo e non potevo stare con gli altri. Lì capisco la gravità di ciò che significava covid 19, parola da me sempre ignorata e presa alla leggera. Nemmeno a un mese di distanza mi ammalo di FEBBRE … sono tanti i miei pensieri; visto in tv ciò che succedeva ho temuto di aver contratto il covid 19, isolamento, e di nuovo noia e riaffiorano sensi di colpa e tanta rabbia. Doloroso stare staccato dal gruppo, anche se non ero da solo.
1° tampone nell’attesa del risultato il buio e l’ansia, ma tutto bene negativo. Tachipirina e passa la febbre, ma ancora in isolamento … uff.
2° tampone più approfondito, la stessa sensazione. Negativo per la seconda volta. Tutto si è risolto, momentaneamente. Via dalla quarantena si ritorna a vivere ma con molta prudenza.
Orazio
Io credo che la cosa venga “ingigantita”. All’interno della struttura mi sento tutelato perché credo che sia molto difficile essere raggiunti dal virus, ma non si può avere mai la certezza. Comunque confido nelle persone che sono qui a darci una mano, ma non possono farlo in tutto; mi riferisco al fatto che io come tanti altri abbiamo figli fuori e se devo essere sincero vorrei essere lì in questo momento. Tuttavia confido nella mia famiglia e cerco di starmene tranquillo. Per il resto la percezione all’interno della struttura, di quel che succede fuori, la si ha dai nostri operatori che svolgono un ruolo di enorme responsabilità nei nostri confronti e nelle loro famiglie. Per questo mi sento di dirgli grazie perché quello che fanno non è da tutti. Spero vada tutto bene e che si torni prima possibile alla normalità.
Marco
Quello che sto vivendo in comunità in questa terribile pandemia è un momento lungo e particolarmente confuso che mi ha costretto a pensare di meditare sulle ineluttabilità ma anche sulle fragilità della vita umana e sulla possibilità sempre più vicina di morire. Quando siamo entrati in emergenza questo inverno sono stata male e ho avuto paura.
Lara
Quello che sto vivendo adesso di sicuro è molto diverso dal mese di marzo, perché la prima ondata del virus mi trovavo fuori dalla comunità e quindi non davo molto peso alla cosa. Uscivo sempre senza preoccupazione, per me pensavo solo alla mia famiglia e cercavo di proteggerli il più possibile. Adesso, invece, posso dire che mi ritengo fortunato a essere in un luogo protetto come la comunità perché adesso sembra che la situazione dei contagi specialmente in Calabria sia più grave, vedendo le notizie del telegiornale, perché in questo luogo non si dà peso realmente alla gravità della cosa non vivendo fuori la vita quotidiana.
Il mio pensiero è questo: secondo me stanno esagerando con il divulgare certe notizie perché questo si sa che è il periodo delle prime influenze e dei primi raffreddori, quindi si dovrebbe stare attenti e rispettare tutti i protocolli e le regole ma non si può vivere tutti i giorni con la paura di un semplice raffreddore. Sentendo i virologi parlare in questo periodo, è normale avere sintomi di tosse, febbre, dolori, ecc. quindi di non preoccuparsi più di tanto perché secondo me fanno pure tanto falso allarmismo.
Gianpiero
Inizio pandemia e informazione dicembre 2019, molta confusione e tanta paura. Non si conosce tutt’oggi bene il covid-19, all’inizio aumentano i casi e facevo solo caso ai numeri dei decessi e anche dei guariti e dei positivi. Non erano corrette molte informazioni se non provenienti sul sito del ministero della salute. Molte notizie fake in rete on-line, spesso mi capitava di andare in confusione sull’argomento “mascherina sì, mascherina no”. Poi sentivo dire di restare a casa, con la pubblicità del ministero della salute di restare a casa e che se si avevano sintomi influenzali di comunicarlo al numero dedicato. Avevo molta paura perché non avevo ancora realizzato cosa mi circondava, poi, durante tutte le ricerche e le testimonianze, finalmente esce il “tampone” dove ti dava una speranza per capire se avevi contratto il virus o meno. Fino al 3 maggio 2020 molta paura e chiuso in casa, se si usciva uscivo solo per andare in farmacia o a comprare le sigarette. Con le mascherine introvabili e usando i guanti monouso mi facevo forza e facevo ciò che era opportuno fare. Durante il periodo e dopo il 3 maggio continuavo a far uso di eroina, un po’ per non affrontare la paura e l’ansia.
Il 6 luglio entro in comunità, prima del 6 dello steso mese feci il tampone aspettando l’esito, finalmente “negativo”. Entro in comunità e subito in quarantena per 14 giorni dove ho vissuto in camera solo e con la tv che mi faceva compagnia per tutta la mia quarantena. Non ho avuto sensazioni di malessere perché mi guardavo attorno e vedevo persone negative al covid e mi rassicuravo. Devo dire che la quarantena è stato un tempo per rilassarmi e concentrarmi su me stesso e dove mi trovo. Oggi alla seconda ondata mi sento sicuro e tranquillo perché so che sono in un ambiente protetto, utilizzando prodotti speciali e dovute precauzioni si può attenuare la tensione che si può percepire.
Prima della seconda ondata non ho per niente avvertito il pericolo, proprio perché mi ritrovo per fortuna in una struttura protetta. “Essendo attenti a tutto, non dobbiamo temere il coronavirus, ma egli stesso deve temere noi”.
Daniele
Se mi avessero raccontato quello che ho fatto e continua a fare il mondo fuori da qui, ad oggi, non ci avrei creduto. Chi avrebbe mai detto che per entrare in comunità mi sarei dovuto sottoporre ad un, fino ad allora sconosciuto, tampone molecolare, fastidioso grosso “cottonfiok” che ti inseriscono in gola fino a strofinarti le tonsille e poi nel cavo orale, fino a toccare le pareti della laringe. Bene! Spero solo di essere tra quelli che lo potremo raccontare ai propri nipoti come una storia di pura fantasia, ma realmente esistita, con vincitori su tanti purtroppo vinti, da un nuovo virus chiamato CORONA.
CORONA fino ad oggi non era più di un oggetto da principessa o regina o al massimo un cognome. Oggi 17.11.2020, quando lo si nomina fa paura, incute timore e voglia di proteggersi da chi lo pronuncia. Sarà forse la fine? Sarà forse un nuovo inizio? Sarà solo una delle guerre mediatiche? Infine, spero tanto che possa essere solo un fatto da raccontare, con tanto di rispetto e stima per chi non c’è più, e per chi, con tanto sforzo e sacrificio, lavora in condizioni quasi disumane. Che possa essere di monito, per chi come me, finora non ha fatto altro che giocare alla roulette russa con la propria vita, talvolta distruggendola ad altri. Corona: che tu possa presto essere sconfitto …
Paolo
Era marzo del 2020 quando sentii parlare per la prima volta di covid-19. Io non mi ero reso conto della gravità, perché essendo chiuso in una comunità terapeutica dal 15/11/19. Prima che scoppiasse questa epidemia la mia reazione fu così: mi ricordo che dissi “sarà la solita influenza che durerà il tempo di un vaccino”, ma rimasi scioccato quando vidi che i mesi passavano e il problema rimaneva anzi peggiorava. Mi ricordo che non solo noi utenti eravamo presi da sgomento, ma anche gli operatori.
Perché vi dico che noi utenti non sentivamo tanta pressione perché essendo chiusi in una struttura terapeutica non si percepiscono tanto le paure del mondo esterno, perché ovattati nel nostro microcosmo. Davvero è difficile capire quello che succede nel mondo, se non attraverso i media, notizie che mettevano i brividi perché confuse e imprecise. Ma devo in questo caso ringraziare i nostri angeli custodi che sono le persone che ci seguono per i problemi di tossicodipendenza che è già un dramma, per noi, ma con l’aiuto loro siamo stati tranquillizzati e il panico iniziale cominciò a scemare senza però sottovalutare questa epidemia, prendendo seriamente il fatto di disinfettare noi stessi e l’ambiente in cui abitiamo. Ora è il secondo lockdown che faccio in comunità spero che le cose ritornino come prima.
Salvatore
La vita in comunità in questo momento storico ha subito molti cambiamenti che si sono manifestati in maniera pratica e altresì con impatto psicologico. Noi tutti abbiamo avvertito questo cambiamento nella quotidianità di tutti i giorni, le continue e allarmanti notizie dei media ci hanno bombardato con segnali preoccupanti. I nostri operatori ci hanno continuamente aggiornato sulle situazioni esterne alla comunità, poiché noi viviamo una condizione che si può definire protetta, vivendo in un luogo isolato e abitato con delle persone che non hanno contatti l’esterno. Praticamente le nostre brevi uscite sono state sospese, così come il nostro lavoro in campagna che ci portava per mezza giornata fuori dal nostro ambiente e che ci ristorava con l’esperienza di un contatto con la natura e l’aria aperta.
Le regole all’interno della comunità sono cambiate in quanto abbiamo dovuto adeguarci alle misure di prevenzione. Personalmente questa situazione mi fa un po’ paura. Sentire i bollettini di tanti morti nel mondo e così tanti infetti, che non mancano neanche vicino a noi, mi provoca un senso di confusione e anche di impotenza di fronte ad una minaccia così grande. Temo, più che per me, per i miei cari e sono diventato molto apprensivo.
Raccomando sempre alle mie figlie di essere previdenti e attente, sebbene hanno la loro giovane età sono molto mature.
Spero vivamente che questo orrore possa finire presto, anche se i tempi per un vaccino su scala mondiale si preannunciano lunghi. Beh, che dire … “io speriamo che me la cavo!”
Roberto
Non ricordo con preciso, ma è stato prima della mia entrata in comunità, tra il 10 e 15 febbraio, aspettavo un amico in un calcio scommesse al caldo, dovevamo andare a fare la “storia”. Per passare il tempo davo un’occhiata alle news del mondo che davano sullo schermo, là lessi per la prima volta COVID-19.
Questo appellativo inizia ad avere un senso vero e proprio i primi mesi di marzo, quando l’Italia dà l’alba ai primi provvedimenti COVID-19, fino alla chiusura totale, ed io, probabilmente, non me ne rendevo ancora conto della sciagura che tutt’ora viviamo. Una data che ricordo bene è il 18 febbraio, un giorno che per me oggi ha tutta un’altra consapevolezza. Per chi crede nella fortuna, io ho avuto fortuna!
Quel dì entrai in comunità. Di certo il mio fato sarebbe stato diverso da quello di oggi, se non fossi entrato prima del “Lockdown”. Dio solo sa cosa mi sarebbe successo, vivendo l’inferno là fuori: io, il covid e la mia tossicodipendenza, una threesome da urlo. Non da poco, da prendere in considerazione, la prassi che hanno dovuto seguire i miei compagni per entrare in seguito al lockdown, una quarantena di 15 giorni chiusi in una stanza, soli e in piena astinenza da sostanza, probabilmente, conoscendomi, non ce l’avrei fatta. Un giorno, prima dei provvedimenti COVID, vennero in comunità i famigliari di Vincenzo, un utente. Si presentarono con mascherina e restavano a distanza da noi. Il primo pensiero “questi sono matti”, perché per noi il COVID era solo un nome, non un problema. Era ancora il classico pensiero che fai, del tipo, un problema lontano da noi, succede altrove, non certo qua, per noi era ancora solo una notizia al TG.
Si potrebbe pensare che per un ragazzo in comunità, il lockdown dovrebbe essere stato più semplice, tanto è abituato a stare chiuso, lo pensavo anche io, ma non avevo messo in conto alcuni fattori. L’agitazione e la paura che gli operatori ci trasmettevano venendo qua da fuori, perché giustamente loro lo vivevano fuori il dramma, ne erano più consci, e noi sempre tra sogno e realtà, tra realtà e follia. Il non vedere per nulla le proprie famiglie, visite abolite, anche qua pensavo fosse più facile ma non lo è stato e non lo è per niente. Il fattore più importante è la paura dell’ignoto, il non sapere che fare, non saper di che morte morire. Con l’estate il tutto si è mollato un po’, oggi l’angoscia torna, cosa accadrà?
Bernardo
È da mesi ormai che si sente parlare di coronavirus (covid-19) esattamente qui in comunità dove mio trovo dal 25/02/20 la quotidianità è venuta a cambiare i primi di marzo, tutto lo staff, gli operatori, i responsabili e lo psichiatra di conseguenza noi utenti, siamo stati costretti a modificare anche le solite abitudini.
Dall’esterno se ne sente parlare molto. All’inizio con la prima ondata di contagi, concentrata più al nord Italia essendo ignoranti sul virus, la comunità ha cercato di ottenere più informazioni possibili per limitare i danni. Personalmente, visto la chiusura e non potendo avere contatti con l’esterno, il concetto di pericolo di contagio vero e proprio non l’ho mai avuto. Con la seconda ondata di contagi esterna, avvenuta da 20 giorni a questa parte, anche il modo di gestire la situazione è stata più accurata, considerando anche il fatto che molte regioni del sud prima non erano zona rossa. Adesso però a livello di contagi abbiamo superato addirittura città del nord, c’è una paura maggiore e si è alzato il livello di prevenzione da parte di tutti, staff e utenti al seguito, soprattutto per una tutela nei nostri confronti e della comunità.
Fin dalla prima riunione di gruppo con Sergio che facemmo nel campo per mantenere la distanza tra di noi, che poi si è rilevata una dinamica non applicabile visto che convivendo insieme nella stessa struttura non è applicabile, perché il contagio ci sarebbe a catena! Quindi gli operatori o chiunque della progetto sud con orari e protezioni varie cercano di svolgere con normalità il loro lavoro. Mentre noi siamo stati educati ad usare delle norme igieniche più accurate ed evitando quanto più possibile il contatto con l’esterno. Il prezzo più alto da pagare per me, ma penso anche per gli altri utenti, è quello di non poter vedere i propri familiari. Con questo è impossibile svolgere le attività di gruppo al di fuori, ed è un altro limite per me difficile da superare, ma ho imparato nella vita ad adeguarmi alle situazioni e quindi pur essendo impossibilitata a vedere i miei figli non potendo andare a casa e rinviando alcuni impegni esterni a quando si potrà di nuovo ritornare alla normalità, “speriamo presto”, impegno il mio tempo concentrandomi su me stessa per adesso. Però ho una prospettiva di visione su come potrà essere il mio futuro una volta che sarò fuori. Infatti, anche da situazioni negative si può trarre spunto e vantaggio ed è quello che ho fatto. L’idea di iscrivermi al corso di OSS è scaturita anche da questo, aiutare gli altri nel sociale soprattutto in questo periodo la richiesta al livello socio-sanitaria è molto richiesta, mi ha acceso la lampadina e ora più che mai nonostante alcune dinamiche di avversità e imprevisti tra cui proprio il coronavirus, che mi sta rallentando, vado avanti. Qui si evita più possibile ogni situazione di contagio, quindi personalmente mi sento limitata, ma al sicuro, aspettando in una somministrazione di cura per tutti i contagiati un augurio che questo periodo finisca e che tutti i cittadini del mondo ritornino a una vita per lo più normale, anche se non sarà facile per i familiari delle vittime del covid-19. Andare avanti è l’unica cosa che mi ci permette di limitare i danni! Vivere il presente anche se con difficoltà per avere un futuro migliore.
Luana