Il dono e la città. Sul futuro del volontariato. Il nuovo libro di don Giacomo Panizza

Se la salute diventa un’azienda, la scuola un’impresa, la gestione dell’ambiente e dell’acqua una questione di mercato, il volontariato – che in Italia coinvolge circa 4 milioni e mezzo di persone – viene messo all’angolo. E le sue anime interne si differenziano e si distanziano tra loro, andando in conflitto.

Giacomo Panizza, prete bresciano in Calabria da oltre trent’anni, vive sotto protezione perché è nel mirino delle cosche dal 2002 per essere stato testimone di giustizia contro un clan mafioso e aver preso in gestione un edificio confiscato. Ciò non gli impedisce di continuare le sue attività a favore delle persone in difficoltà e di essere una voce profetica fuori e dentro la Chiesa.

Il suo nuovo libro Il dono e la città, in libreria il 26 aprile per le edizioni Bibliotheka (pagine 152, 18 euro, ebook a 4,99), è una lucida e argomentata provocazione sul futuro del volontariato.

Per certi aspetti, osserva Panizza, il volontariato che gestisce servizi assomiglia oggi, nei metodi, ai servizi del privato for profit. Per questo è necessario che esso torni a imprimere a sé stesso un indirizzo culturale e politico, decidendosi a svolgere un servizio «pubblico» capace di superare la trappola del mero mercato dei servizi sociali.

Le associazioni di volontari, ricorda il prete bresciano-calabrese, non sono destinate a mettere cerotti improvvisati a pubbliche amministrazioni incuranti del welfare e dei diritti di chi ha più bisogno. I corpi intermedi della società non si aggregano per arginare le distrazioni o le malefatte della politica e del mercato. E costituiscono luoghi privilegiati non quando distribuiscono doni consolatori, ma se accompagnano le persone a mettere in moto la solidarietà, la condivisione e l’accoglienza, e quando generano e rigenerano fiducia negli abitanti di un territorio.

Le anime interne del cosiddetto terzo settore – gestionale, assistenziale, movimentista, imprenditoriale – rischiano di differenziarsi e di confliggere tra loro. Per questo, rileva Panizza, abbiamo bisogno di volontariati diversificati che si rafforzino spingendosi anche oltre l’ambito sociale, dando maggior consistenza anche ad altri settori quali la protezione civile, l’ambiente e l’energia, i beni culturali, gli stili di vita rispettosi della decrescita dei consumi, la cittadinanza partecipata, l’educazione a pratiche civiche costruttive di comunità locali. Perché non solo il volontariato sociale, ma l’intero arcipelago dei volontariati è un potenziale messaggero di legalità e di coesione.

“Saremo capaci di futuro solo se sapremo assumere uno stile di volontariato adulto, che non operi solo in risposta a ciò che vede a occhio nudo, ma indaghi con sguardo critico nel profondo delle cause immediate e remote delle difficoltà e del disagio. Un ruolo politico, dunque”.

Insignito dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dell’onorificenza di Commendatore dell’ordine al Merito della Repubblica italiana, Panizza ha fondato a Lamezia Terme la comunità “Progetto Sud” ed è autore di libri sulla ’ndrangheta, la legalità e le sfide educative poste dalle mafie.

Don Giacomo Panizza, bresciano, ha fondato nel 1976 a Lamezia Terme “Progetto Sud”, una comunità autogestita insieme a persone con disabilità e contribuisce a diverse iniziative della Caritas italiana e della Calabria. È nel mirino delle cosche dal 2002 quando spezzò il cerchio della paura prendendo in gestione il palazzo confiscato alla cosca Torcasio. Da allora vive sotto scorta. Ha scritto centinaia di saggi e brevi contributi, apparsi non solo su riviste di settore, ma anche in numerosi libri. Tra i suoi libri Io sono un grande sognatore: sfide e opportunità degli stranieri ad una terra accogliente (Laruffa, 2007); Capaci di futuro (Rubbettino, 2005); Finché ne vollero (Edizioni Paoline, 2002). Inoltre ha curato Il dono: iniziatore di senso, di relazioni e di polis (Rubbettino, 2003). Feltrinelli ha pubblicato Qui ho conosciuto purgatorio, inferno e paradiso. La storia del prete che ha sfidato la ’ndrangheta (con Goffredo Fofi; 2011).

 

—–

Scheda del libro

Curare il disagio non è un mestiere esecutivo privo di responsabilità, non è un mestiere operativo senza intelligenza, non è un mestiere che si possa svolgere da soli. Anche per questo il tanto declamato principio di sussidiarietà non deve servire al volontariato come alibi per esautorare la responsabilità pubblica, ma per rimettere al primo posto gli esiti liberanti e socializzanti del welfare. Se la salute diventa un’azienda, la scuola un’impresa, la gestione dell’ambiente e dell’acqua una questione di mercato, il cosiddetto terzo settore viene messo all’angolo. E le sue anime interne – gestionale, assistenziale, movimentista, imprenditoriale – si differenziano e si distanziano tra loro, andando in conflitto. Per certi aspetti, il volontariato che gestisce servizi assomiglia oggi, nei metodi, ai servizi del privato for profit. Per questo è necessario che esso torni a imprimere a sé stesso un indirizzo culturale e politico, decidendosi a svolgere un servizio «pubblico» capace di superare la trappola del mero mercato dei servizi sociali. Le associazioni di volontari non sono destinate a mettere cerotti improvvisati a pubbliche amministrazioni incuranti del welfare e dei diritti di chi ha più bisogno. I corpi intermedi della società non si aggregano per arginare le distrazioni o le malefatte della politica e del mercato. E costituiscono luoghi privilegiati non quando distribuiscono doni consolatori, ma se accompagnano le persone a mettere in moto la solidarietà, la condivisione e l’accoglienza, e quando generano e rigenerano fiducia negli abitanti di un territorio. Abbiamo bisogno di volontariati diversificati che si rafforzino spingendosi anche oltre l’ambito sociale, dando maggior consistenza anche ad altri settori quali la protezione civile, l’ambiente e l’energia, i beni culturali, gli stili di vita rispettosi della decrescita dei consumi, la cittadinanza partecipata, l’educazione a pratiche civiche costruttive di comunità locali. Perché non solo il volontariato sociale, ma l’intero arcipelago dei volontariati è un potenziale messaggero di legalità e di coesione.