Per una idea di libertà

di Goffredo Fofi

“Libertà” è una delle parole di cui si è fatto e si fa più uso, dandole significati non sempre tra loro coerenti. Parliamo di libertà soprattutto pensando alla politica, ai governi repressivi di tante libertà individuali e di gruppo, per esempio quelle di associazione; ai governi autoritari che possono talvolta essere anche decisamente reazionari e fascisti; e a sistemi di controllo eccessivi, anche in  paesi a governo democratico, degli individui e dei gruppi, sistemi che assumono spesso aspetti decisamente polizieschi.

Nei paesi più tolleranti e democratici oggi si pensa piuttosto alle libertà sessuali – vedi gli Usa dove, per esempio, ha da sempre gran voga presso una parte della popolazione l’idea di una libertà riservata al gruppo sociale o etnico dominante. Ci si spinge, negli Usa, sino alla libertà di possedere e usare armi per la difesa personale e della proprietà, per far del male a chi non la pensa come noi; a chi, per un motivo o per un altro, chiede di più di quanto “il sistema” sia disposto a concedergli.

Il significato della parola libertà nel senso  di poter godere della stessa libertà e delle stesse possibilità delle classi (o etnie, o ideologie) dominanti, e soprattutto della “libertà dal bisogno”, è molto meno diffuso di quanto non si dica, come tanti popoli del pianeta ben sanno, dopo più di due secoli da una Rivoluzione che predicava l’equivalenza di “libertà, uguaglianza e fraternità”, dando della libertà una visione nuova e aperta, nei suoi possibili e vari e necessari aspetti.

Dopo la seconda guerra mondiale, e anzi già nella lotta clandestina contro l’occupazione nazista, circolarono clandestinamente, in Francia ovviamente ma anche in Italia, e soprattutto oralmente, i versi di una poesia “d’occasione” di Paul Eluard intitolata appunto Libertà, di cui Ada Gobetti amava, ancora molti anni dopo, citare i versi che dicevano (cito a memoria) “e se fosse da rifare, rifarei lo stesso cammino”. C’era un po’ di retorica nei versi di Eluard, ma ben perdonabile!

La prima accezione della parola “libertà” era quella di libertà politica, di opinione, di raggruppamento, di progetto… Ma prima di Eluard già Voltaire ci metteva in guardia dall’evitare una retorica generica e superficiale, poiché, disse, “la mia libertà finisce dove comincia la tua”. Animale sociale per eccellenza, l’uomo, l’individuo, non può non tenere conto dell’ “altro”, di chi gli sta vicino e anche di chi gli sta meno vicino, di quello che da secoli chiamiamo “il prossimo”. Anche se non sempre nel significato che a questa parola danno i Vangeli…

Le difficoltà cominciano da qui, da questa “prossimità” e somiglianza, e da un’umana fragilità che ci porta ad atteggiamenti difensivi che possono facilmente diventare offensivi…

Se la mia libertà finisce dove comincia la tua, è necessario che ci siano leggi, e non importa se scritte o non scritte, che stabiliscano dei confini alla libertà dei singoli, e anche a quella dei gruppi uniti da interessi corporativi, che sono troppo spesso in conflitto con gli interessi di altri gruppi.

La soluzione? Rosa Luxemburg diceva: “O socialismo o barbarie”. L’attesa e la lotta per un mondo migliore, di giustizia e solidarietà tra gli umani e le altre specie viventi, animali e vegetali, è un sogno che ha le sue origini nel Vangelo e che solo può avverarsi nella solidarietà tra gli oppressi e nella (pur limitatissima) adesione di “chi più ha” a questo sogno: il sogno di una libertà diffusa, non egoistica e “capitalistica”, nel segno della solidarietà tra gli oppressi e con il vivente.

L’annuncio e l’attesa, e ovviamente l’azione per dar corpo a questi sommi ideali. La libertà è quella che “i ricchi” (i potenti) non concedono e per la quale occorre continuare a lottare, sempre, nei secoli; la libertà di essere uguali e solidali, e “liberati” dal bisogno e dalla violenza – anche da quella delle nostre passioni, del nostro malinteso individualismo.