Droga libera? Prima difendiamo l’anello debole: i tossicodipendenti

di Don Giacomo Panizza

Ho seguito con attenzione il dibattito lanciato da Calabria Ora sulla liberalizzazione delle droghe leggere.
Io credo che sia opportuno un rilancio di attenzione su questo problema, evitando di discuterlo “all’italiana”, trattandolo come tema estivo, senza continuità. È un tema da assumere seriamente, evitando di mandarlo alle lunghe.

Io metto le mani avanti evitando di denominare “droga leggera” la marijuana. Credo che non valga più tanto la distinzione tra droghe leggere e pesanti riguardo alle sostanze stupefacenti. Perché è un po’ come per il vino e i liquori, che hanno sì una differenza di gradi alcolici, ma la componente quantitativa, la “dose”, non è ininfluente. Si diventa ugualmente alcolizzati coi vini e coi liquori.

Ciononostante, ritengo che legalizzare la marijuana possa vibrare un bel colpo alla ’ndrangheta, ma non un colpo mortale. Anche perché gli introiti illegali intascati stanno viaggiando sui mercati legali come investimenti e non come depositi fermi. E i clan sono capacissimi di rilanciare le estorsioni, al sud e anche al nord e all’estero. Occorre prendere sul serio anche la ’ndrangheta.

Le problematiche della droga non si limitano ai giri di compravendita gestiti dalle mafie. C’è ad esempio la produzione. In Paesi del centroamerica o del medio oriente, dove l’ONU ha avviato programmi di riconversione delle piantagioni illegali, i prodotti agricoli sostitutivi non stanno dando ricavi sui quali poterci vivere. C’è stato un flop! Quei prodotti sono soggetti ai prezzi stabiliti dal mercato agricolo internazionale, che sono prezzi iniqui, dannosi per i proprietari terrieri quanto per i lavoratori dipendenti o stagionali.

Da quanto ho colto, a me pare che si stia ponendo la questione “droga e ’ndrangheta” in maniera limitata, polarizzata, mentre andrebbe allargata ad altre componenti, perché è una questione che tocca non marginalmente altri aspetti, quali i consumatori che ne fanno uso e abuso, altri che ne sono dipendenti nel corpo e nella psiche, altri ancora che sono familiari e amici, altri medici, e infermieri, e forze dell’ordine e guardie carcerarie, e avvocati e giudici, e ditte e incidenti e altro ancora, che formano e modificano la cultura, la società, la coesione sociale.

Si tratta insomma di una problematica con molte cause e molti effetti incontrollabili, che coinvolge molti soggetti e molti fattori, e sconvolge molte persone e progetti del presente e del futuro. Insomma: le problematiche connesse alla droga non si limitano al mercato della droga ma si sommano anche al mercato della droga e influiscono sulla vita dei singoli e della società, del mercato e della cultura, delle libertà personali come della democrazia.

Tempo addietro, Craxi aveva associato il problema della droga ai drogati, anche perché aveva in mente mire di governo e modalità di governare poggiate sul fondamento della paura. Ma sappiamo che non è vero che gira la droga per sola colpa di chi si droga.
Nel 2012 non possiamo più ignorare l’esistenza di ogni altro fattore oltre all’arricchirsi delle mafie attraverso il mercato internazionale degli stupefacenti. Il legislatore ha legalizzato di fatto alcol e gioco d’azzardo per fare cassa, ci sono le mode giovanili che ritengono l’assunzione di droghe non una devianza ma uno status, siamo in una società che adesso ha tolleranza verso gli stili di consumo di certe sostanze, eccetera. E rimane da dirci, con leale corresponsabilità, quale società vogliamo. Una società di cura o di abbandono dei suoi componenti “indeboliti” o di componenti liberi di autodistruggersi?

In una società pluralista, dire “droga legale” è dire “droga immorale”? Il problema non è la droga, non è la sostanza, ma la gestione umana e umanizzante della sostanza.

Così, secondo me, un dibattito incorniciato nel binomio mafia e droga, va integrato con altri fattori. Di etica ad esempio.
La persona tossicodipendente ha problemi umani di libertà e di cittadinanza, di diritti e doveri da gestire.
Ha difficoltà riguardo al “vedere”, volere, decidere, avere e usare strumenti autonomamente.

La Regione Calabria, riguardo agli strumenti per la lotta alla droga, per la consapevolezza dei danni dell’uso e abuso di sostanze, per togliere dalla droga chi ne è dipendente, non ha fatto la sua parte.
Ha riconosciuto l’Atto di intesa Stato-Regioni del 5-8-1999, per la cura delle dipendenze, ma ha formalmente riconosciuto di fatto solo i Servizi per le Dipendenze (Ser.D) e due modalità di servizi territoriali (le cosiddette comunità terapeutiche riabilitative e comunità pedagogiche riabilitative), tralasciando tutti gli altri (pronta accoglienza residenziale, centri diurni a bassa soglia, area intermedia a bassa soglia, servizio per le alcoldipendenze, servizio per la comorbilità psichiatrica, o doppia diagnosi, servizio terapeutico riabilitativo donne con figli e coppie). Inoltre, da 5 anni ha lasciato cadere il dettato della legge nazionale n. 45 del 18-2-1999, che stabilisce interventi di prevenzione primaria, secondaria e terziaria per i tossicodipendenti, riguardanti la prevenzione, l’informazione, l’educazione sanitaria, la promozione della salute e del benessere, la riduzione del danno, ecc.

I tossicodipendenti e le persone a rischio calabresi hanno meno servizi e meno tipologie di servizi degli altri in Italia.
La politica calabrese, che ha mandato in tilt il sistema sanità, non ha speso tanto per la salute dei calabresi, tantomeno per chi ha abusato di sostanze e ne è diventato dipendente, non considerando l’importanza di investire in educazione, socializzazione, informazione su droga e mafie, in occupazione giovanile e in servizi dedicati ai tossicodipendenti, anche nelle carceri, per come prescritto per legge. Ha speso per altro e altri.
In sintesi: legalizzare la droga contro l’arricchirsi della ’ndrangheta e tralasciare gli altri appetiti derivanti dal mercato mondiale e locale delle droghe, e mettendo da parte la necessità di prevenire, curare e riabilitare chi incappa nella dipendenza dalle sostanze, è condannare i drogati, l’anello più debole della filiera, a diventare “scimmie”, a drogarsi senza avere appigli per poter ritornare persone nuovamente capaci dei loro individuali diritti e doveri di cittadinanza.

Calabria Ora 10 luglio 2012