Il territorio lametino e le multietnie, la diversità e l’accoglienza

di Giacomo Panizza
Lamezia Terme è una città di passaggio per tante persone: per quelle che scendono dai monti circostanti la piana in attesa di spostamenti altrove, per quelle che dal nord Italia vengono coinvolte in brevi esperienze di lavoro, per quelle straniere che approdano in Italia in cerca dell’Europa. I colori dei volti, il taglio degli occhi, i vestiti e i gesti, il profilo e gli accenti del parlare, le labbra e il gesticolare testimoniano innumerevoli diversità di popoli e etnie oggi presenti tra di noi. Ma a Lamezia Terme queste persone si possono esprimere? Incontrano veramente gli altri? Rinvengono anche l’Altro che è Dio?
Pensando agli stranieri dimoranti in città consideriamo i numeri ma soprattutto i volti. I dati comunali che li riguardano al 31 dicembre 2006 segnano 1.632 persone di cui 776 maschi e 856 femmine; quelli provenienti dai Paesi dell’Unione Europea, prevalentemente dell’Est, sono 189 di cui 26 maschi e 163 femmine; quelli extracomunitari sono 1.443 di cui 750 maschi e 693 femmine. Se vi aggiungiamo 631 persone di etnia Rom, più altre di provenienza extracomunitaria non regolarizzate, più altre ancora appartenenti alla comunità marocchina dimorante in Gizzeria e altre nel circondario lametino, il numero assume un’importanza considerevole.
Dati ulteriori li estraiamo dalle attività quasi trentennali della Caritas diocesana. Ad oggi, sull’utenza biennale di circa seicento persone presso l’Agenzia di Mediazione Culturale, le provenienze più consistenti risultano: rumeni, polacchi, ucraini, bulgari, turchi, tra gli europei e i mediorientali; marocchini e senegalesi tra gli africani; cinesi, pakistani, indiani, tra gli asiatici; venezuelani e peruviani tra gli americani.
Come possiamo ignorare tutte queste numerose diversità di popoli e etnie che percorrono le strade del comprensorio lametino? Come non considerarle? Come perdurare analfabeti rispetto al via vai di gente e al meticciato in atto? Penso che non dovremmo usare più lo stesso linguaggio di ieri per definire gli stranieri presenti tra noi oggi. Ad esempio: capita ancora di sentir parlare con enfasi di “identità diverse”; ma lo straniero, come tutti, prima di avere un’identità è una entità, una persona ovvero un “mistero” irracchiudibile in categorie né culturali né religiose né etniche. In quanto persona è molto di più, è più grande del semplice appartenere all’Europa o all’Africa, a un’etnia o a una religione. Altro esempio di linguaggio improprio o inconsapevole: ci capita spesso di sentire individuare il luogo dove i Rom sono “inclusi” da vent’anni come “campo nomadi”; ebbene, quei nomadi là dentro il ghetto di Contrada Scordovillo non sono nomadi, al contrario sono immobili, fermi, recintati, inibiti nelle esperienze e nelle visioni del mondo… altro che liberi “figli del vento”!
Insomma, dovremmo sforzarci di superare certe vecchie categorie interpretative, poiché esse non ci aiutano a comprendere in maniera aggiornata il fenomeno degli stranieri immigrati in questo nostro territorio il quale è a sua volta ancora luogo di emigrazione; piuttosto lasciamoci aiutare dalla Parola di Dio e dalle scienze umane a comprendere meglio noi stessi e gli altri stabiliti tra noi. Torniamo ad apprendere dall’ascolto dell’altro, a non negare il diverso da noi, a non separare il mondo di noi dal mondo di loro. Ognuno prende e dona, integra “parti” di sé e degli altri. La verità è che nessuno è solo africano o zingaro o europeo o lametino…, anche se ci sono resistenze a riconoscerla. Il termine più esatto per dire interculturale è dire interpersonale. Certo, non basterà “stare” affiancati in un luogo, occorre divenire più consapevoli che stare insieme è sia gratificante che impegnativo: l’altro impegna non solo gli spazi ma le libertà, i sentimenti, le “tue” verità. Se ci fosse bisogno: reimpareremo l’arte di incontrarci.
Una diocesi si dimostra “intelligentemente cristiana” in base a quanto scommette sull’accoglienza tra le persone che vi dimorano, facendo esprimere al meglio le proprie e le loro ingegnosità e differenze, le proprie e le loro potenzialità e singolarità. Una città cristianamente ispirata sa, fin dal catechismo, che le diversità le ha create Dio, ha pensato Adamo diverso da Eva, ogni suo figlio e figlia esclusivi, originali, speciali, unici, affidando poi ognuno all’accoglienza dell’altro. Solo Caino fuggiasco dopo il fratricidio ha potuto pensare di giustificarsi dicendo: «Sono forse io il custode di mio fratello?». Nei flussi di tanta gente verso Lamezia Terme il cristiano sa che la città è anche una grande famiglia che si prende cura dei suoi componenti. Sa di poter e dover dire all’altro, al normalmente diverso, allo sconosciuto che lui non è un individuo solitario, che non sarà lasciato solo dagli altri, che Dio e una comunità e la Chiesa gli sono vicini, insomma che è capitato in una città accogliente, in una città di cui non ricorderà solo l’architettura o il clima o i cibi ma soprattutto chi l’ha accolto.