Il Terzo settore socializza non imprigiona

di Giacomo Panizza
Malgrado tutto il clamore delle dure leggi verso gli immigrati, e nonostante le strette sui controlli di frontiera, centinaia e centinaia di stranieri entrano clandestinamente nel nostro Paese. C’è bisogno di avere luoghi di permanenza immediata o temporanea in attesa di verificare la regolarità di questi arrivi, ma non così come si fa coi Centri di Permanenza Temporanea (CPT). Essi non sono centri di accoglienza ma di detenzione. Fa bene il “Circolo Argada” a mettere il dito sulla problematicità del CPT esistente sul territorio lametino: è il frutto di una legislazione discriminatoria e pertanto le cooperative sociali e il volontariato dovrebbero saper dire “no”.

Conosco, invece, decine e decine di cooperative e parrocchie che lavorano per socializzare gli immigrati che incessantemente arrivano in Italia dopo aver intrapreso un ‘viaggio della speranza’: con loro dialogano per capire il perché abbiano lasciato le rispettive famiglie, il motivo dell’aver scelto l’Italia, la condizione di regolarità o di clandestinità, l’eventuale statuto di rifugiati o di richiedenti asilo. Collaborano sia con lo Stato che con gli stranieri, fanno mediazione con datori di lavoro, amministrazioni, questure e burocrazie. Si adoperano per trovare degne abitazioni, fanno scuola e patronato, donano cibo e vestiario, includono nei circuiti culturali e religiosi, di qualunque religione. Lavorano anche in quegli ambiti pericolosi in cui taluni stranieri si intrecciano con la criminalità, con la tratta di esseri umani, con la prostituzione, coi minori non accompagnati e spesso sfruttati. “Per cercare migliori condizioni di vita”, questo ci dicono gli stranieri che incontriamo, sia perché stanno male nei loro Paesi sia perché hanno una visione distorta della ricchezza che sperano di trovare in Italia e in Europa.

È sempre difficile parlar male di una legge, ma alcuni aspetti della “Turco-Napolitano” prima e della “Bossi-Fini” poi hanno trovato resistenze in Italia. Nell’esperienza quotidiana tanti gruppi, operatori, volontari, avvocati, preti, da anni, in silenzio e con continuità, portano avanti iniziative per l’integrazione e per la dignità umana degli stranieri i quali vivono situazioni pesanti, fatte di profonde ingiustizie ma anche di grandi ricchezze: al pari di tante persone e famiglie calabresi emigrate.

La Chiesa marcia su questa lunghezza d’onda. La Caritas Italiana in particolare ha sempre mostrato contrarietà ad affrontare la questione immigrazione con le strutture dei CPT, non vedendo in essi nessun aspetto ‘buono’ perché sono luoghi in cui le persone sono detenute. Non c’è ulteriore bisogno di manovrare catene e di generare disagio e odio.

Il Terzo Settore deve visitare i carcerati, non gestire le carceri; ha compiti di solidarietà sociale e non di contenimento dei poveri e di controllo dei clandestini. Occorre che faccia il proprio “mestiere” collaborando con lo Stato a presidiare le frontiere della dignità e dei diritti fondamentali delle persone, evitando di mutare i suoi operatori in carcerieri, sostenendo ruoli socializzanti ed educativi, non repressivi.

maggio 2005