Il volontariato per la legalità

di Giacomo panizza (pubblicato su “Volontariato oggi”, n. 3,2008)
Al sud crescono i numeri del volontariato, ma calano la libertà e il protagonismo. Legalità e coesione sociale sono le sfide centrali da accogliere, coinvolgendo la popolazione e responsabilizzando le istituzioni. Serve un’azione intelligente e strategica, capace di democratizzare i territori. I volontariati hanno il compito di lavorare per la legalità, ma da soli non riusciranno a fronteggiare le difficoltà.

Cresce il volontariato, ma cresce anche la mafia

Legalità e coesione sociale scompaiono quando i gruppi di volontariato agiscono con paternalismo o svolgono interventi parziali e inconcludenti, oppure quando sfuggono alle collaborazioni con il tessuto delle reti sociali, magari sostituendosi con il loro “buon cuore” agli enti e ai servizi investiti di pubblica responsabilità, accontentandosi del ruolo di semplici esecutori.
Non c’è da meravigliarsi se, nel sud Italia, alla tenuta numerica del volontariato e al proliferare delle sue organizzazioni, non corrisponda una significativa e incisiva diffusione della legalità e della coesione sociale. Oggi in Calabria, ad esempio, registriamo il più alto numero di gruppi di volontariato mai esistito fino ad ora, ma al contempo dobbiamo registrare anche il più alto numero di affiliati alla ’ndrangheta sparsi in tutta la regione e altrove nel mondo intero.
Insomma, cresce il volontariato e accanto cresce la mafia. Non migliorano nell’insieme le pratiche di legalità e di coesione sociale poiché la macchina istituzionale, soggetti economici e agenzie educative risultano distratti, compiacenti, collusi; e perché una parte consistente della popolazione si comporta da spettatrice del volontariato e intimidita a divenire soggetto attivo di coesione sociale rassegnandosi al predominio di gruppi mafiosi e di poteri forti. Sui territori, quartieri di grandi città o piccoli comuni, ci si ritrova non raramente a subire una coesione sociale forzata, talvolta consenziente e omertosa, comunque regolata dai clan. Essa si propaga e si rafforza come controllo sociale diffuso e non consente di progettare il proprio destino in grande, ma solo in piccoli gruppi di “resistenza” come quelli antiracket, di educazione alla legalità, di utilizzo di beni confiscati. Questa messa in angolo ostacola lo sviluppo democratico della legalità e di una coesione sociale che sia solidale, perché la solidarietà corta, da “cosa nostra”, i clan la gestiscono in maniera obbligante, la mantengono con il collante della paura e della violenza perpetrata ancor più verso parenti e amici che “tradiscono”. Illegalità e coesione forzata si spandono sui territori, si travasano sull’economia, sulle istituzioni, su cultura e mentalità comuni.
Insomma, pur registrando una presenza numericamente più consistente di persone e gruppi di volontariato rispetto al passato, oggi non si scalfisce incisivamente il sistema anomalo di potere che le cosche criminali e certi poteri legali e illegali esercitano sui territori.

Il volontariato di cui abbiamo bisogno

È indubbio che al sud il volontariato debba principalmente accogliere la sfida della legalità e della coesione sociale: quel tipo di legalità che coinvolga la popolazione e coerentemente responsabilizzi le istituzioni, e quel tipo di coesione sociale che sia socializzante, ampia e includente e non chiusa e antagonista del bene comune. Al sud abbiamo bisogno di un volontariato non solo operativo ma anche intelligente, strategico, capace di pensare con la sua testa, progettare dal basso, socializzare e democratizzare i territori, ribellarsi a chi occupa spazi e diritti rifiutando l’illegalità, oltre che una coesione sociale costretta e concessa in libertà vigilata. Non abbiamo affatto bisogno di quel tipo di volontariato – purtroppo esistente – che mette le pezze ai danni provocati dalla criminalità, o diviene cieco alle incapacità di certe amministrazioni, oppure ancora succube di politici collusi, ignaro dei mercati illegali, afono di fronte allo scardinamento di tribunali e di infrastrutture per l’economia o per l’istruzione. Non è questo il volontariato che serve al sud.
Viceversa, abbiamo bisogno di volontariati diversificati che si rafforzino spingendosi anche oltre quello sociale, dando maggior consistenza anche ad altri settori quali la protezione civile, l’ambiente e l’energia, i beni culturali, gli stili di vita rispettosi della decrescita dei consumi, la cittadinanza partecipata, l’educazione a pratiche civiche costitutive e costruttive di comunità locali tra cui la solidarietà, la condivisione e l’accoglienza.

Il salto di qualità necessario

Al sud, nella storia del volontariato, i temi della legalità e della coesione sociale sono stati acquisiti a piccoli passi, susseguenti alle iniziali esperienze di presa in carico di persone e gruppi in situazioni di povertà ed emarginazione. Ora finalmente numerosi gruppi li hanno introdotti tra gli scopi e i metodi delle proprie iniziative. È un salto di qualità di cui non si poteva fare a meno per non essere “utili idioti” e per riconnotare eticamente le attività e i progetti. È una decisione che impone al volontariato di fare scelte a viso aperto, bypassando il tipo di appartenenza consigliato dai rapporti di clientelismo e di mafiosità diffusi. È una decisione apportatrice di frutti, seppur non a buon mercato, ma in cui il volontariato gioca apertamente il suo ruolo di minoranza attiva, consapevole del dovere di difendere, anzi di rigenerare grandiosi valori umani e sociali.
Si può dire che non solo il volontariato sociale ma l’intero arcipelago dei volontariati sia un potenziale messaggero di legalità e di coesione sociale. Collocarsi in libertà, sganciato dai meccanismi di appartenenza ristretta al fine di imbastire reciprocità e fiducia tra aree sociali differenti e spesso “distanti”, per il volontariato va ritenuto importante tanto quanto gli stessi servizi che offre. Legalità e coesione sociale rappresentano un valore aggiunto necessario; un esito calcolato e talvolta azzardato. In certe circostanze vengono messe in conto di nascosto, come quando sbandieri che aprirai un parco giochi mentre l’aspettativa segreta è far socializzare i figli di famiglie mafiose cogli altri bambini e bambine del quartiere.
Ordinariamente molte iniziative parlano da sole di legalità e di coesione sociale, particolarmente nelle zone “calde” in cui il volontariato appoggia gli imprenditori che si ribellano al racket e i commercianti che dicono “addio al pizzo”; collabora con le fondazioni anti-usura per sensibilizzare alla prevenzione di prestiti pericolosi; partecipa al riutilizzo sociale di beni confiscati ai boss; alza la voce laddove le mafie vorrebbero zittirlo e certi politicanti imbavagliarlo.
Anche altri ambiti di intervento rigenerano legalità e coesione sociale. Pensiamo al reinserimento sociale di ex detenuti. È emblematico. Se l’inserimento non viene assunto dalla società lo gestiscono a modo loro le cosche.
Pure il volontariato di protezione civile svolge un ruolo impregnato di legalità e di coesione sociale. Pensiamo allo spegnimento degli incendi estivi, la maggior parte dei quali dolosi; alla prevenzione dei disastri causati da terremoti e da inondazioni delle fiumare, così pure alla cura dell’ambiente, alle centinaia di chilometri di coste marine, alle cave e alle discariche. E ai rifiuti.
Legalità e coesione sociale al sud coinvolgono la società anche sulla recente configurazione assunta dal fenomeno immigrazione: gli stranieri oggi più di ieri approdano alle nostre coste non solo per transitare ma si stanziano, con incognite di integrazione e convivenza, con seri problemi di occupazione, di sfruttamento e di tratta.
Persino il volontariato più innocuo, come quello di compagnia e di aiuto agli anziani soli o non autosufficienti, impatta pratiche di legalità. Quando fai la spesa al “nonnino” con necessità di risparmiare, dove compra se sa che le cose che costano meno le vende quel supermercato che ricicla denaro sporco e sottopaga le commesse?
Sono spiacevoli le domande da porsi, tante le cose da fare, gravi le decisioni da prendere. L’esperienza passata non ci fornisce sempre le risposte. Però una sembra ancora valida: le organizzazioni di volontariato non potranno pensare di essere le sole e da sole a fronteggiare le difficoltà. Al sud, accanto a tante complicazioni esistono istituzioni, aggregazioni, esperienze, economie, strumentazioni, idealità e idee, persone sulle quali fare affidamento e ri-scommettere per la legalità e la coesione sociale. Torneremo a essere sperimentatori coinvolgenti?