Metafora dell’antiracket
di Giacomo Panizza
1
C’era una volta, in una città pianeggiante,
un artigiano appassionato del suo lavoro,
di quelli che “chi fa da sé fa per tre”,
al punto che tutti se ne meravigliavano e si chiedevano:
“Che piacere trova a lavorare?
Quali interessi nasconde?”.
Fu così che qualcuno in particolare
si interessò a lui.
2
Arrivarono sulla soglia della sua bottega due giovani mai visti prima,
chiesero: “Permesso?” e poi chiesero il “pizzo”.
Volevano persuaderlo di avere amici carissimi
in carcere da aiutare.
Ma l’artigiano rispose: “No”.
Arrivò anche una Commissione ispettrice
di carte e macchinari.
Uno degli ispettori lo prese in disparte,
e gli chiese un “prestito” a titolo personale,
spiegando un suo impellente bisogno.
L’artigiano, di nuovo, rispose “No”.
Arrivò egli stesso fino ad un Ufficio (era dell’ASL? non ricordo)
per sollecitare una pratica ferma da due anni
mancante di un “visto” necessario
per ingrandire l’attività e creare ulteriore occupazione.
Dietro lo sportello chiesero una “mancia” per “oliare” l’iter bloccato.
Disse: “No”.Risposero: “Ni”.
Il “pizzo” dei “colletti bianchi” è più paziente
dei rozzi giovanotti malavitosi, che alcuni giorni dopo
gli fecero”click click” col cane della pistola
affiancandolo con la moto lungo la strada
del suo ritorno a casa dal lavoro.
3
Per il nostro artigiano l’orizzonte si profilava nero.
Un bel giorno ricevette la visita
di un amico, artigiano come lui,
che sottovoce gli raccontò fatti preoccupanti… uguali ai suoi.
E aggiunse che era a conoscenza di altri artigiani,
e commercianti,
e imprenditori,
che subivano le stesse pressioni dai malavitosi
e gli stessi ricatti dai “colletti bianchi”.
Discutendone tra di loro e analizzando la situazione, però,
si rincuorarono nel rammentarsi che in città,
negli ultimi tempi, si andavano promuovendo
corsi di educazione alla legalità,
e marce e sit-in contro il racket.
Ma, alla fine, ai due amici queste belle iniziative non bastavano:
“Sì, bene, ma il nostro problema come si risolverà?”.
4
Fu in quel periodo
che sentirono parlare di un esperto – Tino Magro –
il quale, in prima persona nella sua città di là del mare,
fu costretto in passato ad affrontare
identiche pressioni, richieste, lungaggini, minacce.
Egli è ritenuto “esperto” perché non solo disse “No”,
come i nostri protagonisti,
ma si organizzò
coinvolgendo altri amici e compagni,
artigiani e commercianti e imprenditori
a dire “No” tutti insieme,
e ad architettare denunce da presentare
alle forze dell’ordine e ai tribunali.
5
I nostri due artigiani dunque resistettero
e di lì a breve “politicizzarono” il loro problema.
Il grattacapo – ne erano certi – non era solo loro,
e pertanto lo avrebbero affrontato non da soli ma insieme
a tanti altri.
Uscirne insieme! Questa è politica: è cosa di tutti e non “cosa nostra”.
Divennero consapevoli che il nodo di fondo
non era principalmente quello economico,
ovvero di conti che debbono quadrare,
e nemmeno solo di ordine pubblico, efficacissimo quanto intelligente:
sotto minaccia compresero che insieme ai soldi
qualcuno macchinava di portar via loro, ai loro cari e alla città,
la dignità di lavoratori, la fierezza di cittadini, l’anima.
Rabbrividirono al pensiero di perdere il sorriso,
e di non poter camminare sul Corso a testa alta.
6
Con determinazione, e saggia prudenza,
si confrontarono, si autoselezionarono, incrementarono,
si raccontarono, aumentarono l’amicizia
e infine programmarono come quando si lancia una nuova ditta.
Fu così che accumularono un capitale!
Capite tutti che non sto parlando dei soldi
ma della ricchezza proveniente dai valori umani e civili,
morali e di senso, culturali e simbolici,
che essi hanno plasmato
coi loro “No” ai ricatti mascherati da protezioni,
e coi loro “Sì” a essere se stessi e alla voglia di ingegnarsi.
7
Come finì la storia?
La storia finì in maniera che i nostri protagonisti
misero in circolo quel capitale di valori prodotti congiuntamente.
Diffusero un tipo di capitale che invece di esaurirsi si moltiplicava,
procedendo gratuitamente, “fuori mercato”,
senza tema di concorrenza,
offrendolo a tutti, persino alla Chiesa (la quale comprese subito,
per una certa affinità, che quei “prodotti” erano raffinati, immateriali,
ovvero spirituali: per questo si moltiplicavano donandoli).
Anche la città desiderò appropriarsi di quel capitale
poiché sentiva un vitale bisogno di quei valori.
I nostri protagonisti, guardandosi negli occhi,
si ringraziarono vicendevolmente dell’avventura vissuta in comune:
dell’essersi fidati a fare “insieme”
piuttosto che cercare ognuno
da solo
di risolversi “qualcosa” per sé.