Politica e coscienza cristiana nello Stato moderno

di Giacomo Panizza
I cattolici in vista delle elezioni

Chi come candidati e chi semplicemente elettori, molti cittadini e cittadine della nostra diocesi assieme a milioni di altri e altre in tutta Italia, a breve, saremo chiamati a partecipare alle competizioni elettorali.
Ogni persona che prende sul serio la fede cristiana non sfugge la corresponsabilità nei doveri di cittadinanza, anzi li rafforza. Nei convegni ecclesiali emerge sempre più limpido e frequente il messaggio che «occorre essere più consapevoli che è necessario un discernimento cristiano sui temi della cittadinanza, e che esso richiede la capacità di immaginare le istituzioni e strutture sempre più a misura e a servizio della persona ». (Materiali del 4° Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona).
In vista di eventi notevoli quali le prossime elezioni politiche e amministrative, i cristiani sono chiamati a confrontarsi, a riflettere e scegliere, mettendosi in questione all’interno dei partiti e delle coalizioni politiche, ma altresì alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. Nondimeno nella nostra diocesi avvengono dibattiti e si attuano scelte importanti e per niente affatto ininfluenti. Al fine di incoraggiare la discussione, il gruppo dei partecipanti alla Scuola di Dottrina sociale della Chiesa di Lamezia Terme mise a punto, nello scorso anno, un Decalogo per chi fa politica divulgandolo attraverso un Foglio informativo. Con esso in breve si contesta la vigente legge elettorale che non riserva all’elettore piena libertà di scelta dell’eleggibile, ma soprattutto si evidenzia che chi si candida e consegue ruoli di governo può e deve contribuire ad orientare la politica al bene comune.
Allora: cosa stanno pensando di suggerire e proporre al Paese i politici di ispirazione cristiana? Restiamo in attesa delle coraggiose promesse dei nostri laici impegnati. E noi cattolici, cosa avremo da domandare a coloro che saranno candidati? La prima raccomandazione è che essi non si leghino ad una logica meramente partitica, esclusivista; la seconda è che agiscano sempre da persone libere, che non divengano ossequiosi ai tornaconti di singoli partiti o peggio alle convenienze di singoli leader. Entrambe le raccomandazioni si inquadrano nel principio che ogni politico è chiamato in prima persona a rispondere alla voce della sua coscienza interiore e alle esigenze del bene comune dell’intero corpo elettorale, anche di coloro che si identificano in differenti e contrarie parti politiche.

Nella politica da credenti

Vale la pena richiamare la norma che chi legifera e governa, amministra o fa opposizione, non è da considerare un mero esecutore della volontà della sua base elettorale. E, per la dottrina, nemmeno può venire inteso come longa manus della gerarchia ecclesiale. Coscienza e ragione, scelte attive e confronto continuo, sono quattro pilastri fondamentali dell’esperienza di colui o colei che si gioca nel servizio della politica. Questi pilastri rappresentano la responsabilità personale e pubblica del cristiano, lo collocano negli ordinamenti e nelle regole democratiche previste dalla Repubblica italiana. E la Chiesa cattolica lo sa. La gerarchia lo sa. Sa che compito del cristiano in politica è costruire lo Stato secolare. Sa che costruire la cristianità non è affatto il fine della politica. È invece compito particolare della Chiesa. Come anche tutti dovremmo sapere che costruire qualsiasi altra idea di società culturalmente o religiosamente o ateisticamente caratterizzata non è il fine della politica. Piuttosto: ogni persona di qualsiasi religione, cultura o interesse, è mobilitata a fare la propria parte a vantaggio non solo di sé e dei suoi ma a vantaggio di tutti. Non si fa politica riproducendo soltanto il modello socio-culturale di un’unica parte in causa zittendo o occultando le altre.
La politica democratica prefigurata dalla Costituzione italiana non è credente o atea o religiosa o laica o laicista o socialista o comunista o liberista o radicale o quantaltro. Essa deve genuinamente valorizzare ciascuno e dare prova di rispetto per tutti. «La fede cristiana ha soppresso, seguendo il cammino di Cristo, l’idea della teocrazia politica. Essa ha fondato la secolarità dello Stato nel quale i cristiani coabitano, nella libertà, con gli esponenti di altre convinzioni. Una coabitazione fondata peraltro sulla comune responsabilità morale, insita nella natura dell’uomo e nella natura della giustizia. La fede fa distinzione tra questa forma secolare e il Regno di Dio, che come realtà politica non esiste su questa terra… e deve trasformare il mondo intero. Lo Stato laico è un esito della decisione cristiana fondamentale, anche se è stata necessaria una lunga lotta per comprenderne le conseguenze». (J. Ratzinger, 2004 – In occasione del 60° dello Sbarco in Normandia). Pertanto, i cristiani di uno Stato moderno non intendono la politica come cattolica. Invero quindi, si afferma che esistono cattolici che fanno politica, i quali ne rispondono in prima persona alla propria coscienza e agli altri; così come esistono atei che fanno politica, ma anch’essi devono rispondere della libertà di religione di chi è religioso; come anche esistono altri uomini e donne e gruppi con idealità o ideologie e interessi, ma tutti quanti si è vincolati a fare politica pubblica agendo nell’orizzonte dei valori e dei dettati costituzionali.
Nella Repubblica italiana – in cui noi cattolici ci ritroviamo fieri della nostra libertà – ciascuna identità culturale, o religiosa o di interessi, non può costituire il fine della politica; ognuna rappresenta piuttosto un punto tra numerosi altri, una soggettualità tra le altre da mettere in gioco, sulle quali investire e far fruttificare, come i talenti della parabola evangelica, per la costruzione del bene comune, di un bene pubblico condivisibile non solo da “quelli della tua casa” ma anche da tutti quegli altri che incontri e coi quali imbastisci e valorizzi la tua vita.