Riappropriamoci dei regali

di Giacomo Panizza
Fiumane di persone hanno gremito i negozi della città e del circondario in questi giorni di fine anno, recandosi a botteghe e vetrine per scegliere un regalo da fare a qualcuno. I veri commercianti conoscono benissimo quanto bisogno umano di gratuità esista, e ci speculano sopra.
Anche la mafia dà molto valore al dono e ai suoi significati. Nella logica mafiosa i doni li fa il “padrino”, collocando i “figliocci” in una condizione di debito e di riconoscenza nei suoi confronti. In seguito, quando lui vorrà, chiederà qualcosa in contraccambio ed essi non potranno rifiutarsi. I suoi doni sono “avvelenati”: catturanti e non gratuiti.
I “doni” dei mercanti e dei mafiosi sono snaturati: hanno un prezzo in denaro e in servilismo.
La circolazione dei doni è un fatto normale nelle convivenze sociali, ricevere e offrire regali fa parte della fiducia connessa alle relazioni umane. Ad esempio, se non ci fosse il Natale dovremmo inventarlo, tanto che più persone si scambiano doni nel periodo natalizio pur essendo notoriamente non cristiane.
Ogni dono è più che un semplice “regalino”. Concettualmente sottovalutiamo il dono collocandolo in spazi irrilevanti della vita familiare e nel “privato” intimo; lo intendiamo come una realtà marginale della vita sociale. Invece esso incide culturalmente nella vita sociale, economica e politica.
I regali, i doni, sottendono un messaggio culturale e sociale che per i molti rimane invisibile ma è essenziale. Ognuno ha ricevuto o fatto un regalo, sperimentando la gioia del legame che esso crea. Perché il dono non è solo “la cosa” che viene regalata, ma è la presenza, il calore, il messaggio, l’interessamento, le parole che contiene “quella cosa in quanto viene donata” da qualcuno a qualcun altro.
Qualunque regalo, grande o piccolo che sia, esprime significati di reciprocità, quali: “Io ti penso, io ci sono, io ti voglio bene, tu mi interessi, tu per me vali…” Nelle coppie e nei giri di amicizie consolidate l’interruzione dei regali è spesso sintomo di crisi.
La moltitudine delle persone tuffate nei negozi di giocattoli, di libri, di fiori, di casalinghi, di indumenti, di alimentari, si è appassionata a scegliere oggetti da regalo, attribuendo a ciascuno di essi un messaggio particolare indirizzato a qualcuno che ha gradito non solo “quella cosa” ma anche “quel pensiero”. Scegliere un regalo è impegnativo perché la cosa da donare è anche una frase da dire, un rischioso sbilanciarci con un nostro personale messaggio verso un’altra persona, la quale rimane libera di accettare o rifiutare il dono: il che equivale a accogliere o respingere il donatore.
Anche il Dio del Natale si è sbilanciato rischiosamente così con l’umanità, sottomettendosi alla regola del dono, offrendosi a ciascuno di noi i quali liberamente possiamo accettare oppure rifiutare “lui”.
La chiesa sa benissimo che Lametia Terme ha bisogno di riscoprire questa logica del rischio del dono. Piuttosto che un Natale “una tantum” ci vorrebbe un Natale permanente, non fatto di rari episodi di bontà ma generatore di presenze donative nelle famiglie, nella chiesa, nella società, nell’economia, nella politica: in definitiva nella vita.
Penso che la nostra chiesa e la nostra società dovrebbero rivalutare il senso compiuto del dono, non lasciandolo al consumismo di feste commerciali, né relegandolo a questioni infantili e piccolo borghesi familiari, e neppure permettendo che venga codificato dalla prepotenza della cultura mafiosa. La città ha bisogno di riscoprire la libertà del donare e del donarsi, di vivere una esperienza umana e religiosa nei suoi aspetti di senso, di grandezza, di gratuità.
Riappropriamoci dei regali. Non sono cose solo da bambini!

Natale 2004