Servizi sociali:”gattopardo” della societa
di Giacomo Panizza
Setting a tavola imbandita
La sinuosità delle curve del Parco Nazionale dell’Aspromonte e il Parco Naturale delle Serre, nel ritorno verso la Piana di Lamezia Terme, fa il paio con la linearità dei pensieri che accompagnano le fantasticherie scaturite durante la festa d’inaugurazione del rifugio montano “La casa dei Folletti” al Passo Croceferrata.
Talune inaugurazioni hanno il pregio di lanciare servizi intelligenti e, raccogliendo presenze di soggetti pubblici e privati locali, far scambiare proposte e aspettative in un clima entusiasta. Clima che si è manifestato alla tavolata del pranzo in pineta, durante il quale sono rimbalzate le proposte che mi porto a casa: la prima, dei gruppi del terzo settore, che chiedono una via d’uscita per rinforzare il Forum regionale; la seconda, del presidente della provincia di Reggio, che c’invita ad utilizzare casette-bungalow a schiera in Aspromonte, per vacanze sociali; la terza, connessa a un intervento sulla legalità di rinforzo a quella zona, anche in seguito al recente episodio criminale di una falegnameria messa a fuoco a Nardodipace, di proprietà di una cooperativa di giovani.
La sera a cena in comunità, chiacchierando racconto agli altri della Casa dei Folletti e riporto le proposte ricevute.
Nella vita di gruppo i temi sociali invadono spesso la convivialità. La tavola imbandita si tramuta in luogo di discussione a trecentosessanta gradi. Si parla di tutto, anche di ideazioni sociali, cioè di qualcosa previo a qualsiasi progettazione, un qualcosa contenente idee e azioni, filosofie di base e coerenti correlate attività.
La discussione si infervora perché a tavola ci si può permettere che fili liscio argomentare liberamente, come in un simposio in cui l’idea dell’uno stimola idee nell’altro e dove si sprigionano energie e pensieri di un gruppo ideativo. È esaltante concedersi creatività di gruppo, piccolo o grande, semplice o complesso che sia. E infatti, su una delle cose riportate, la discussione tra i presenti è andata pressappoco così.
“Ci propongono la gestione di alcune casette in Aspromonte, di competenza della Guardia Forestale. Sono collocate a piano terra, come bungalow. Che si fa?”, dico a un certo punto.
“Potremmo farci il campo estivo di “Alogon””.
“Ma i bungalow non sono ottimali per le carrozzine a rotelle”.
“Noi disabili perdiamo un mucchio di autonomia là dentro: hanno spazi stretti, bagni piccoli, porticine… non ci consentono tante autonomie personali, ci moltiplicano gli handicap”.
“Eppure — spiego — il presidente della provincia ha pensato di proporceli perché glieli ha chiesti anche la locale realtà che accompagna gli ammalati ai vari santuari”.
“Sì, ci credo. Perché quella realtà non ci calcola. Fa più attenzione ai servizi che i suoi volontari possono offrirci che alle capacità di fare da soli che noi disabili abbiamo”.
“Più servizi gli assistenti svolgono, più si realizzano loro. Più barriere architettoniche ci sono nei bungalow, più gli assistenti ‘si sacrificano e si santificano’”.
“Noi non vogliamo assistenti eroici, noi vogliamo prenderci in mano le nostre vacanze e i nostri campi estivi”.
La discussione non finisce certo qui, ma la sventagliata di reazioni alla proposta mi fa percepire, per la seconda volta nello stesso giorno, la tavola imbandita come un setting creativo sui temi sociali.
I nodi sociali dei temi sociali
La discussione, da spontanea reazione, evolve man mano nel merito ponendo domande: chi inventa i servizi sociali, chi li approva, quali interessi attaccano o appoggiano, quali criteri vengono messi in gioco, che tipo di società prospettano? Emerge palese il concetto che i servizi sociali da soli non possono contenere le risposte.
Qualcuno dei presenti farcisce il dibattito con la questione calda — non solo perché estiva — dei Rom a Milano, a Verona, a Roma, a Lamezia. Si può dire che in queste città l’estate 2005 stia mettendo in moto ingenti energie sociali? Sì, ma vengono impiegate per ri-emarginare persone, famiglie e categorie sociali. L’immaginario collettivo sta mobilitando risorse multiple per la difesa della sicurezza e della qualità della vita dei benpensanti, ma non per i diritti umani dei poveracci. L’ago della bilancia segna più frantumazione che coesione sociale. Facile dedurre che i deboli hanno servizi deboli e i forti tutele forti.
Molte iniziative sociali non originano coesione sociale. Possiamo produrre, riprodurre e moltiplicare servizi, interventi e attività sociali, cambiando tutto senza cambiare niente in tema di diritti: come “Il gattopardo”.
Esistono servizi sociali che sono più necessari agli assistenti che agli assistiti; servizi che appoggiano la solidità dell’ente gestore piuttosto che capacitarsi a contrastare le cause dei fenomeni di esclusione; iniziative di volontariato che smuovono energie in tutta Italia, ma generando poco o nulla nella linea dei diritti.
In un periodo di difficile agio per i diritti sociali, specie delle persone più deboli, occorre non perdere di vista l’importanza di difendere e diffondere i diritti che conosciamo, che le leggi offrono, che la storia, le battaglie e le pratiche sociali hanno costruito.
I servizi, pubblici o privati o del terzo settore, in sé non offrono, e non possono offrire, garanzia di diritti. In un contesto di abbandono del “sociale” da parte della politica e di assunzioni inopportune di deleghe da parte di gestori e operatori, i servizi potrebbero più separare che socializzare, più escludere che includere. Occorre centrare il nodo della progettazione sociale per tracciare nuove vie ai diritti, dove per “progettazione sociale” bisognerebbe intendere tanto il ruolo degli attori sociali di una comunità locale (quali gli amministratori, gli addetti ai lavori, gli interessati ai servizi, i gruppi sociali), quanto i prodotti del progetto sociale, del Piano di zona o quant’altro.
Ancorare i servizi a criteri di equità sociale
In mezzo al frastuono delle domande di servizi sociali (che vanno tutte bene, anzi benissimo!), occorre che distinguiamo tra quelle legate a opportunità sociali e quelle connesse ai diritti basilari delle persone tutte. Assumiamo che tutto è di grande utilità sociale, ma i contesti e le realtà territoriali, le risorse comuni disponibili, da quelle economiche a quelle organizzative, professionali e culturali, impongono di priorizzare per tutelare i diritti.
Chi imporrà i servizi nei Piani di zona: il settore ragionieristico degli enti locali? O la pressione dei privati gestori del mercato dei servizi? O un terzo settore rafforzato in nome di una sussidiarietà travalicante la solidarietà sui diritti di cittadinanza? O li propugneranno i più affermati della società, i sostenitori della separazione dei più forti dalla comunità e dalle sue relazioni e regole?
Disancorando i servizi sociali da criteri di giustizia sociale, si rischia di non accorgersi nemmeno del mutamento di paradigma che stiamo attraversando: quello di passare dalla lotta alla povertà come impegno della Repubblica – ovvero di tutte le componenti statuali, istituzionali, locali pubbliche e private – alla mera costruzione di una politica di gestione e diffusione di servizi finalizzati a offrire prestazioni utili ma non miranti a ricostruire pari opportunità, ovvero a “rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana al fine di consentire la sua effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
“Bisogna chiedersi nei fatti quanto effettivo sia, al di là delle parole, il passaggio dall’assistenza alla politica (…) abbandonando la lotta alla povertà a favore di una meno impegnativa attività assistenziale”.
La forbice sta tra due obiettivi egregi: uno, il perseguire il benessere collettivo; l’altro, il garantire diritti certi a persone fragili. Ottimi criteri di uguaglianza sociale sono già dati, sia dalla Costituzione che dalla “328” (per le parti obbliganti tutto il territorio nazionale).
Ognuno riconosce la positività sociale di una banda musicale, di una squadra di calcio, di un gruppo di quartiere, insomma di tutto quanto può costruire e costituire qualità sociale nella comunità locale, ma non possiamo misconoscere che si deve andare anche a priorizzare, anteponendo con decisione a tutto ciò un criterio di equità sociale, senza con questo resuscitare concetti di pauperismo o di classismo.
A tavola, al termine dello scambio di vedute, è venuto facile concludere che sì, ci sono moltissime cose da fare riguardo ai bisogni, ai problemi e ai diritti sociali, ma che queste appartengono alle scelte della politica partecipata, la quale va oltre i partiti e le amministrazioni. Infatti, qui non si tratta solo della gestione dei servizi ma della comune lotta alle disuguaglianze.
Agosto 2005