Comunità, welfare, pace: costruire dal basso con lo sguardo al mondo
A tu per tu con Angela Regio, responsabile dei servizi e degli interventi sociali destinati alle persone con disabilità della Comunità Progetto Sud
«Lavorare per la pace è anche opporsi alla ‘ndrangheta e alle sue logiche inumane capaci di tenere sotto scacco vari segmenti della nostra società. È favorire l’incontro tra le diverse culture sia sociali che religiose. È non abbassare la guardia sui diritti democratici esistenti e quelli ancora da conquistare»
Angela Regio, ha 63 anni, una laurea in sociologia, un master di secondo livello, tanta formazione sui temi socio politici e organizzativi in ambito sociosanitario e socio assistenziale e diverse esperienze nel campo dell’animazione territoriale.
È la responsabile dei servizi rivolti alle persone con disabilità e continua a svolgere alcune funzioni di rappresentanza, sia a livello nazionale che regionale e territoriale della Comunità Progetto Sud.
A 17 anni ha incontrato, a Lamezia Terme, il gruppo nascente di Comunità Progetto Sud, a 24 ha deciso di entrare a farne parte e condividerne in pieno la vita.
«Con gli scout che frequentavo – racconta – siamo andati a conoscere questo “strano” gruppo, arrivato in città da pochi mesi, a vedere dove e come vivevano insieme persone con disabilità e non».
E poi? Come si è avvicinata alle attività sociali della Comunità Progetto Sud?
«L’anno prima della mia scelta, (quindi a 23 anni -ndr-) mi ero proposta come operatrice nel centro diurno sperimentale per bambini e bambine con disabilità grave che la comunità voleva avviare: questa è stata l’esperienza che più particolarmente mi ha segnato e che ha poi determinato la mia vita. Da questa ho imparato la curiosità, l’attenzione, l’ascolto verso persone con disabilità ritenute spesso solo dei “vegetali”, degli “scarti” da lasciare abbandonati in soffitta, esclusi perché non parlavano e non si esprimevano come tutti gli altri e sì che di cose da dire, invece, ce le avevano e anche tante!»
Qual era la nuova proposta della Comunità Progetto Sud?
«Noi volevamo solo dimostrare che servizi non segreganti ma a misura di persona erano possibili, anzi indispensabili perché portavano benessere sia alle persone coinvolte, sia all’intera città. Infatti, vedere persone con disabilità vivere e condividere le strade, il cinema, i negozi, era un esercizio sociale che induceva tutti a pensare i luoghi in chiave accessibile e inclusivi.
Quel tempo e quell’ “idea nuova” mi ha portata a sposare in pieno le idealità che la Comunità portava avanti contribuendo alla nascita di servizi, attività e iniziative volte al riconoscimento pieno della persona umana in qualsiasi situazione di vita si trovasse. e in qualsiasi situazione di vita si trovasse.
L’idea di iniziare a sperimentare un servizio che allora, nel 1983, non esisteva, portava già in sé la strategia di intervento che ci ha poi accompagnato negli anni: intercettare i bisogni espressi da persone e famiglie del territorio; creare insieme a loro momenti di confronto e approfondimento; progettare e realizzare insieme servizi e attività in risposta ai bisogni; politicizzare l’esperienza per sollecitare le pubbliche amministrazioni e la regione Calabria a progettare e legiferare per la realizzazione dei tanti servizi sociosanitari e socio assistenziali allora inesistenti e tuttora ancora carenti nella nostra realtà».
Secondo lei c’è una relazione tra la visione e la programmazione degli interventi sociali, quindi il welfare e la pace?
«Welfare e pace sono stati per noi sempre strettamente connessi: lavorare per la realizzazione della giustizia sociale, per l’acquisizione dei diritti, per l’uguaglianza delle opportunità, per il confronto tra tutte le diversità, per lo sviluppo economico e sociale delle città, significa contribuire a creare una società più giusta e il nostro vivere più libero e condiviso. E quando le persone e i gruppi vivono in queste dimensioni umane la pace si realizza».
Qualche esempio di azioni che nel tempo hanno costruito o contribuito a costruire una coscienza civile intorno alla pace?
«Nel tempo la comunità ha partecipato per esempio anche ad iniziative per il disarmo e continua ad essere presente a eventi di protesta/proposta per la risoluzione delle, purtroppo, molte guerre esistenti, ultima quella causata dall’invasione della Russia all’Ucraina; ha inventato insieme ad altri, eventi formativi di consapevolezza e gestione dei conflitti rivolti soprattutto ai giovani; ha accolto i primi obiettori di coscienza che rischiavano il carcere perché si opponevano alla leva obbligatoria; ha realizzato e continua a realizzare collaborazioni per lo sviluppo di paesi e territori lontani deprivati della loro possibilità di autodeterminazione».
E oggi, qual è lo sguardo da avere per continuare a costruire, dal basso, politiche di pace?
«Lavorare per la pace è anche opporsi alla ‘ndrangheta e alle sue logiche inumane capaci di tenere sotto scacco vari segmenti della nostra società. È favorire l’incontro tra le diverse culture sia sociali che religiose. È non abbassare la guardia sui diritti democratici esistenti e quelli ancora da conquistare. È capire che la globalizzazione del nostro mondo se da una parte ha portato dei benefici dall’altra ha sempre di più accelerato la divaricazione tra realtà eccessivamente ricche e quelle che vivono nella più piena miseria. È sperimentare insieme nuovi modi del vivere possibile perché quello che viviamo continua ad essere “uno” dei modi possibili e non è detto che sia ancora quello più giusto e libero».