CHI PARTE, CHI ARRIVA, CHI STA. Delle migrazioni e della restanza, a Sud. Intervista a Goffredo Fofi
di Maria Pia Tucci da Àlogon 112
“Gli asini”, la rivista diretta da Goffredo Fofi, in collaborazione con la Comunità Progetto Sud, ha organizzato a Lamezia Terme, ad inizio 2019, una tre giorni di confronto sulle tematiche della partenza, dell’arrivo e della restanza, concentrandosi sulla questione delle migrazioni. Le regioni del Sud sono un crocevia, al contempo terra di partenza e terra di arrivo. È oggi impossibile comprendere il Mezzogiorno e agire in maniera sensata per il cambiamento sociale se non si prendono in considerazione la mobilità degli individui, le sue cause, le sue conseguenze.
“Chi parte, chi arriva, chi sta” i tre verbi che hanno guidato la discussione partecipata a questo primo seminario che ha aperto un ciclo di incontri che la rivista Gli asini dedica al Mezzogiorno d’Italia, alle sue trasformazioni sociali, politiche, culturali, economiche, alla sua posizione nel Mediterraneo, alle esperienze e alle possibilità di intervento sociale e politico nelle città e nelle aree rurali.
Come in una narrazione circolare ci si è confrontati con Goffredo Fofi, Marco Gatto, Vito Teti su “Meridionalismi”; con Enrico Pugliese sul “Chi parte” e con Isaia Sales, Dario Tuorto sul “La politica al Sud oggi”.
“Chi arriva” ce lo hanno detto: Mimmo Perrotta, Alessandra Ballerini, Mamadou Dia, Martina Lo Cascio e “Chi sta”: Marina Galati, Maurizio Braucci, Savino Monterisi.
L’intervista a Goffredo Fofi, direttore de “Gli asini”, ci aiuta così a fissare l´attenzione su alcune problematiche di natura sociale partendo proprio dal tema dello “spostamento delle persone”, “tema universale e senza tempo” – come dice lo stesso Fofi – nel corso della nostra lunga e interessante conversazione.
– Parliamo di Migrazione, di spostamenti di persone…“Un tema enorme, importante. Perché, si muove su due scenari: uno internazionale, quello degli enormi spostamenti di popolazioni che ci sono stati e continueranno ad esserci in questi anni, e l´altro che riguarda l’Italia e anche il Sud, in cui gli spostamenti sono destinati ad aumentare perché, per esempio, con la desertificazione ampiamente annunciata dagli ecologisti di una parte del Nord Africa, i migranti che sbarcheranno in Italia saranno molti di più.
– Non si fermeranno? No, non si fermeranno perché saranno cacciati dalla fame. In genere quelli che migrano vengono perché fuggono dalla guerra o non hanno di che vivere o, semplicemente, hanno la speranza di un futuro migliore.
– Ma la struttura restrittiva dei Decreti del Governo Gialloverde, in materia di migrazione, non pensa che in qualche modo mitigheranno gli arrivi? Io sono molto pessimista, ho letto molta fantascienza e anche molti libri di storia del passato e anche del passato meridionale, e penso che le prossime ondate di migrazione saranno meno pacifiche di quelle che ci sono state fino ad ora. Che non verranno più a baciarci le mani e a chiederci l’elemosina ma verranno rivendicando, quindi probabilmente anche in modi molto più aggressivi di quelli fin ora. Questo porterà nuove forme di barbarie perché certamente la risposta dei nostri governanti sarà non di accoglienza e pacificazione ma sarà di chiusura e di altrettanta aggressività.
Questo è uno scenario, un’ipotesi tra quelle più attendibili, plausibili e in ogni caso anche se così non fosse è chiaro che siamo dentro una mutazione enorme degli ultimi decenni che è quella della finanziarizzazione dell’economia e della forza immensa che ha conquistato la comunicazione soprattutto tramite internet, diventando strumento del potere per condizionare e per renderci consenzienti e addormentati nella sostanza. Poi c’è, ovviamente, l’aspetto antico, ma anche nuovo, che si verifica per la globalizzazione, in modi molto più evidenti, più forti e più generalizzati dovunque: quella degli spostamenti di popolazioni. Il mondo si sta ricomponendo con risposte di vario tipo e con un’assenza di fatto di una politica complessiva.
– E per quanto riguarda l’Italia? Per quello che riguarda l’Italia noi puntiamo da un lato il discorso sull’attenzione al Sud, perché il Sud torna ad essere un luogo di cambiamenti più evidenti più rapidi e anche più forti che non altrove e proprio perché il Sud torna ad essere più discriminato nella politica nazionale rispetto alle zone del paese tradizionalmente più ricche ed oggi infinitamente più egoiste, più chiuse.
L’Italia è stata una Nazione, a mio parere, per poco tempo. È nata con il Risorgimento appena 150 anni fa è cresciuta male. Il Fascismo ha cercato di unificarla con la violenza, il dopo guerra per fortuna ha cercato di creare una situazione di democrazia con uno stemma di valori basato sui diritti e i doveri dei singoli e che procurasse via via anche un accostamento maggiore tra Nord e Sud, insomma tra zone ricche e povere del paese.
Tenendo conto di un fatto: -che la gente dimentica sempre- c’era una legge per le zone depresse del Paese, a cui lo Stato avrebbe dovuto dare aiuto fino ai primi anni 60, zone del Paese che non erano solo il Sud, ma grandi parti della Pianura Padana e valle del Po, ed erano, per esempio, tutto il Veneto.
– E cosa è mancato al Sud rispetto ad un Veneto che comunque oggi è sicuramente una zona con i problemi di ecologia e di altro, ma che ricca lo è? L’Italia è un paese lungo e ha una parte più agganciata all’Europa e l’altra nel cuore del Mediterraneo, insomma sono due realtà che, come dire, hanno sempre faticato a stare insieme. Ci sono stati periodi che il Nord, il Centro e il Sud avevano comunque un dialogo e c’erano forme di civiltà che si intrecciavano di più.
In tempi più recenti invece, l’Europa è l’Europa del Mediterraneo e noi siamo a cavallo tra queste due realtà, dove i traffici e le industrie hanno trovato un grande sviluppo nel Nord grazie alle circostanze storiche ed economiche, ma anche grazie all’emigrazione che è servita a fare il miracolo economico. Avvenuto perché le industrie del Nord avevano a disposizione una mano d’opera a prezzi molto bassi e, come in altre situazioni storiche, si è verificato che quella mano d’opera era perlopiù meridionale o contadina, perché c’erano anche i veneti a Torino. L’immigrazione veneta è stata molto forte, insieme ai toscani e poi, in massa, è arrivato il Sud. C’è stato anche un periodo di accostamento, mi ricordo gli slogan del ´68: “Nord e Sud uniti nella lotta”.
– Invece oggi sembra essere il contrario. C’è una rivendicazione territoriale… C’è stata una rivendicazione che, come dire è il rifiuto della globalizzazione da parte, per esempio, di ungheresi, polacchi e degli stessi tedeschi. Questo non è un fenomeno isolato, ma un fenomeno di paura che questa unità possa in qualche modo avvantaggiare i più ricchi e svantaggiare gli altri.
– Ma, secondo lei, quanto è vero questo? C’è una situazione di mescolamento generale in cui il Sud viene penalizzato ancora una volta, perché i Governi sono in mano ai più aggressivi, ai più abili politicamente, tenendo conto che fenomeni come la Lega non sono circoscritti, ma sono internazionali e che le classi dirigenti meridionali, piuttosto mediocri e succubi rispetto alle altre, non hanno una chiarezza, non hanno una proposta e non hanno capacità di convinzione popolare.
Questo si trasforma in difesa di ciò che è proprio per la paura di perderlo, perché ci sono altri più affamati che vengono “a toglierci quel poco”, e poi perché i ricchi sono avari, molto più avari dei poveri, molto meno generosi e aperti.
– E per entrare ancora di più in merito alla questione Nord-Sud? C’è a livello Nazionale un nuovo sganciamento Nord e Sud molto preoccupante, perché la classe dirigente che ha in mano la situazione è più spavalda, più moderna di quella del Sud da cui però i collegamenti con la ‘ndrangheta sono indubbi. Dove poi le Banche che riciclano i soldi di tutti, della ‘ndrangheta, della camorra e della mafia però poi sono venete ma in funzione del potere locale, generando una classe dirigente di merda sia a livello nazionale che locale. È anche questo il problema. Dopo il suicidio della Sinistra dopo il Veltronismo e il Renzismo dopo Berlusconi e Di Pietro e con Grillo e Salvini con la Lega e con Bossi ecc. insomma…
Abbiamo avuto un periodo luminoso che va dal `43, dalla Resistenza fino agli anni 70, una classe dirigente molto migliore, quella che ha fatto la Costituzione, la Repubblica, la Democrazia, il voto alle donne e scuola obbligatoria fino a 13 o 14 anni e in più una scuola unica per i figli dei poveri e quella dei ricchi: la scuola pubblica. Insomma, una classe dirigente che ha fatto grandi riforme fino a quella della sanità, allo statuto dei lavoratori, riforma abbandonata perché la storia ha preso altre direzioni e l’economia ha spazzato via quel tipo di organizzazione dei lavoratori che c’era. Ma questo non è un discorso meridionale, stando nel Sud ti accorgi dei difetti della classe dirigente del Sud ma stando nel Nord ti accorgi dei difetti, e a volte delle infamie, della classe dirigente del Nord. Siamo veramente un Paese dove lo sforzo unitario si è un po’ allentato dopo gli anni 80 e forse dopo i ´70 si è di nuovo talmente allentato da rendere, come dire, anche fantascientificamente non del tutto improbabile l’ipotesi di crisi dell’idea di Nazione.
Il problema del Sud è quello della formazione di una classe dirigente che sia all’altezza dei compiti storici che abbiamo di fronte. La formazione di una classe dirigente Nazionale e locale è ancora un compito enorme.
– Come si può sopperire a questa mancanza, non avendo più, come Lei dice, lo strumento della formazione politica? In molti modi. Per esempio, sul piano sociale, con questa ipocrisia collettiva (del sociale appunto) sopperiamo alle mancanze dello Stato con i giovani che entrano nelle Associazioni che si occupano del sociale. Non c’è il lavoro nelle forme tradizionali, sono scomparse le industrie, perfino l’agricoltura è totalmente cambiata, l’artigianato è quasi inesistente… e la gente dove trova lavoro? Trova lavoro nel sociale e nel culturale. Sono campi estremamente ambigui, dove la motivazione ideale positiva è il bene degli altri, ma ha alla base una motivazione economica, in cui si cerca la soluzione al problema di trovare un posto di lavoro.
In tutto questo secondo me il nemico principale è forse la cultura, nel senso che cultura oggi è intesa come modo per addormentare e non come modo per svegliare. L’Università è una grande mafia organizzata, la cultura serve per mantenere dei privilegi. E oggi la comunicazione è importantissima, si governa tramite la comunicazione, si rende la gente un po’ stupida per poterla manipolare meglio. Il messaggio è: comprate, siate d’accordo con chi propone questo tipo di società, siate consenzienti con chi propone questo tipo di società e così via… Questo è uno degli inghippi di quest’epoca.
– Chi parte, chi arriva, chi sta. Che valore ha questa iniziativa? Questa iniziativa che noi facciamo, piccolissima, minima, è la confluenza di più richieste, una è proprio questa: formare dei giovani più intelligenti di quanto non li formi l’Università, che si rendano più conto della gravità dei problemi, dell’urgenza di intervenire e anche di una visione, diciamo pure, morale ed etica del loro intervento.
Ma anche una visione della politica come responsabilità collettiva, che corresponsabilizzi rispetto alla Polis e non rispetto alla propria famiglia, alla propria mafia, al proprio gruppo di potere.
Questo, riguardo ai giovani, è particolarmente urgente perché loro sono in una situazione in cui da un lato vedono cambiamenti enormi sotto i loro occhi ma non hanno gli strumenti né per capirli né per intervenire. Dall’altro vedono ondate di migranti e ovviamente la reazione leghista può attrare molti di loro con la difesa contro quello che arriva da fuori e che può mettere in crisi il loro equilibrio. Allo straniero attribuisci tutti i mali del mondo. Dall’altro c’è però che sei in una situazione globalizzata in cui ti puoi muovere. E questo è il loro grande vantaggio. Anche se non riescono a dare un ordine a tutto ciò, a capire e a cogliere le coordinate, hanno la possibilità di vedere il mondo molto di più delle generazioni precedenti. E emigrano, soprattutto i giovani, o quantomeno lo fanno per primi. Ma oggi dal Sud emigrano anche adulti e poi ci sono quelli che stanno qui e che si fermano.
– Chi sono quelli che restano? …Bisogna un po’ chiederselo ma più che questo: che cosa fanno, che cosa toccherebbe a quelli che restano? Il problema è tutto un po’ da discutere.
“Il cosa tocca” mi fa pensare, cosa gli tocca nel senso: che cosa gli rimane o cosa gli tocca fare?
Oggi ci sono più povertà. Cioè: prima si individuava la povertà economica e si individuava forse una povertà culturale, oggi?
– Oggi? … Oggi il problema, secondo me, siamo noi. Non siamo quelli che vanno ad aiutare gli altri, siamo noi che dobbiamo contemporaneamente salvare noi stessi e salvare gli altri, ecco. Non si riesce a rispondere alle aspettative, forse. Oppure, nel tempo, si sono create così tante aspettative rispetto a quello che è poi in realtà?
– Qual è la contraddizione più grande? Il problema è che noi dobbiamo essere più lucidi nelle analisi delle nostre contraddizioni: noi non siamo i buoni, siamo dei buoni ambigui perché facciamo, lavoriamo per il bene altrui, ma anche per il nostro interesse, perché altrimenti non sappiamo dove infilarci se non emigrando, per l’appunto. Questa è la contraddizione del sociale. Che oggi riguarda milioni di persone. Una volta eravamo quattro gatti (ad occuparci di sociale, ndr), adesso ci sono milioni di persone organizzate in associazioni che spesso sgomitano tra di loro. Ma quella che è morta è la politica. Una volta potevamo fare cose, come dire, vincenti, perché avevamo la sponda della politica. C’era qualcuno che si interessava di sociale, oggi, anche questo è un grande vuoto: noi non abbiamo delle sponde.
– Questa tre giorni, se pur nel piccolo, come diceva all’inizio, ci può aiutare a comprendere questo scenario e anche ad agire? Perché ovviamente dopo la comprensione c’è bisogno dell’azione. Non lo so. Quello che si può fare è discutere senza le ipocrisie e gli infingimenti della cultura e del sociale, senza la chiacchera a vuoto per far bella figura, senza la chiacchera “universitaria”. C’è qualche professore universitario, ma abbiamo chiamato quelli di cui ci fidiamo e c’è, come dire, una parità. Gli utenti sono tali e quali ai professori, non c’è una grande differenza tra questi ragazzi che sono iscritti e noi che andremo a raccontargli delle cose, perché sarà una specie di tavola rotonda continua, in cui ognuno dirà la loro perché sono portatori di esperienze diverse, anche dalle nostre.
Anche come metodo c’è da operare un cambiamento: siamo tutti discenti e docenti oppure detto in altre parole: siamo tutti nella merda e come il Barone di Münchhausen si tira fuori dalla merda tirandosi su da solo dai capelli.
Nella foto in evidenza un momento di convivialità in Comunità Progetto Sud, da sx: Angela Regio, Maria Pia Tucci, Giacomo Panizza, Goffredo Fofi, Isabella Saraceni, Marina Galati, Emma Leone, Marisa Meduri.












