Una mattinata istituzionale, tornata dopo due anni, nella sede del capoluogo calabrese.
La cerimonia è stata presieduta dal Presidente Vicario della Corte di Appello, Dott.ssa Gabriela Reillo, che ha dato l’incipit ai lavori, rendicontando l’attività del distretto e analizzando la produzione giurisprudenziale, civile e penale dei sette Tribunali circondariali.
A seguire i Rappresentanti degli Organi Istituzionali (Rappresentante del CSM e rappresentante del Ministro della Giustizia), poi il Procuratore Generale ed infine i Rappresentanti dell’Avvocatura.
Tra i rappresentanti dell’Avvocatura prenderà per primo la parola il Presidente dell’Ordine Distrettuale degli Avvocati di Catanzaro, Avv. Antonello Talerico e successivamente il Presidente della Camera Penale di Catanzaro, Avv. Valerio Murgano.
Due proposte per la giustizia sociale in Calabria
“Il mio pensiero è di esprimere due semplici domande sulla giustizia, provenienti da persone desiderose di
vivere una “normale” cittadinanza”. – Da questo incipit, il discorso di Don Giacomo Panizza si snoda tra le domande che diventano riflessioni e proposte.
Una giustizia per il diritto di avere doveri
«La prima richiesta viene dalle persone in difficoltà che premono per ottenere risposte in base a leggi esistenti, che però vengono intralciate da più parti. Sono persone fragili che trovano difficoltà a fruire dei loro diritti essenziali, tra cui ottenere assistenza, educazione, formazione, trasporto, riabilitazione, socializzazione…
Penso agli oltre 23 mila bambini e bambine calcolati in Calabria che presentano difficoltà di apprendimento, di lettura e di espressione. Si tratta di diritti che sono mediati nella loro esecuzione. Dove Enti e Istituzioni non implementano modalità e procedure atte a soddisfare questi diritti… Cosa fa la Giustizia in Calabria?
Penso alla sanità e all’assistenza sociale dove molti diritti non sono diretti ma mediati da interventi, professionisti, attrezzature, organizzazione e altro. Così le scuole di ogni ordine e grado.
Penso alle dipendenze da varie droghe, all’azzardo scambiato per gioco ma compulsivo al punto da venirne coinvolti e sottomessi, in una Regione che non ha recepito tutti i servizi previsti, ad esempio per la doppia diagnosi, le comunità con mamme e bambini, e altri.
Penso al disagio psichiatrico, specie a quando diventa ingestibile dalla persona stessa e dai familiari che si scoprono con pochi aiuti pur avendone diritto sulla carta, ma non sono previsti idonei servizi territoriali intermedi.
Penso alle persone con disabilità o anziane non autosufficienti a vestirsi, lavarsi, passeggiare, e in
solitudine crescente.
Penso soprattutto ai diritti che la Regione Calabria non recepisce nelle sue leggi sociali, non finanzia e nemmeno prevede.
L’esperienza di chi si prende cura di simili situazioni segnala la necessità che la giustizia in generale operi al meglio per la fruizione di questi diritti “imperfetti”, o “condizionati” perché chiamano in gioco leggi, finanziamenti, precise modalità e strumenti, insieme a delle responsabilità istituzionali, sociali, professionali, individuali, e perfino il soggetto fruitore.
Trascurare ciò, fragilizza ulteriormente le persone deboli, e la Sicurezza Pubblica interviene sempre quando il danno è già fatto. Sarà possibile agire prima? Ci si augura che alcune delle sentenze emesse proprio in Calabria pochi mesi fa, possano invertire la rotta.
Infatti, è indispensabile che la Giustizia intervenga per correggere i ritardi e le inefficienze delle Pubbliche Amministrazioni per rendere effettivi quei diritti che rischiano di essere solo diritti sulla carta.
Per questo, per rilanciare il diritto di vivere appieno che spetta a tutte le persone in quanto tali, necessita tirare in ballo anche la Sicurezza Sociale che è precipuamente chiamata a operare in modo che poteri, enti e Istituzioni accompagnino le persone fragili a vivere una vita degna, a fruire dei propri diritti compresa la gratificazione di poter esercitare i propri doveri.
Una giustizia credibile e partecipata
La seconda proposta viene da associazioni che esprimono la loro cittadinanza in Calabria utilizzando i beni confiscati alle organizzazioni mafiose per fini di solidarietà.
In 134 comuni calabresi, i beni confiscati si traducono in 227 aziende operative mentre 326 sono ferme. Ci sono anche 3.119 beni immobili destinati e altri 1.931 fermi.
L’ultima relazione al Parlamento della DIA ha valutato in 35 miliardi di Euro i 24.693 immobili in Italia che sono in attesa di destinazione. Che fare di tanti immobili così immobilizzati?
Le associazioni di cui parlo sono aggregazioni a motivazione ideale, ambiscono portare la giustizia in una più alta dignità civile, culturale e politica. Sono persuase che i cosiddetti beni tolti ai mafiosi fanno male se li si lascia vuoti e nell’incuria. Domandano fin dove e se sia o no reato lasciarli in uno stato di degrado.
Esse tuttavia si impegnano a corresponsabilizzarsi per unire al meglio paese legale e paese reale. Scongiurano di fare come quei tanti occhi orecchi e bocche che sono rimasti ciechi sordi e muti nei 30 anni di latitanza di Matteo Messina Denaro, perché non vogliono snaturare sé stessi né sottomettersi a qualsivoglia sistema illegale delittuoso. La proposta è la scommessa di impegnarsi per un migliore utilizzo dei beni confiscati, intrecciando differenti soggetti quali lo Stato e le varie Istituzioni, il profit e il non profit, cultura e socialità. Parecchi non sono altro che beni comuni da poter fruire in comune e che si possono trasformare in volano di economia civile.
Sul territorio di ogni comunità, un bene confiscato parla da sé, dice di cittadinanza o di indifferenza, di libertà o di sottomissione, a seconda di come un popolo gli si rapporta. E la credibilità democratica di ogni comunità umana e politica passa anche da qui.».