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Don Giacomo Panizza all’inaugurazione dell’ anno giudiziario 2023 in Corte d’Appello a Catanzaro

Una mattinata istituzionale, tornata dopo due anni, nella sede del capoluogo calabrese.

WhatsApp Image 2023-01-28 at 13.37.19 (2)La cerimonia è stata presieduta dal Presidente Vicario della Corte di Appello, Dott.ssa Gabriela Reillo, che ha dato l’incipit ai lavori,  rendicontando l’attività del distretto e analizzando la produzione giurisprudenziale, civile e penale dei sette Tribunali circondariali.

A seguire i Rappresentanti degli Organi Istituzionali (Rappresentante del CSM e rappresentante del Ministro della Giustizia), poi il Procuratore Generale ed infine i Rappresentanti dell’Avvocatura.
Tra i rappresentanti dell’Avvocatura prenderà per primo la parola il Presidente dell’Ordine Distrettuale degli Avvocati di Catanzaro, Avv. Antonello Talerico e successivamente il Presidente della Camera Penale di Catanzaro, Avv. Valerio Murgano.

inaugurazione anno giudiziario 2023

Due proposte per la giustizia sociale in Calabria 

“Il mio pensiero è di esprimere due semplici domande sulla giustizia, provenienti da persone desiderose di
vivere una “normale” cittadinanza”. – Da questo incipit, il discorso di Don Giacomo Panizza si snoda tra le domande che diventano riflessioni e proposte.

Una giustizia per il diritto di avere doveri

«La prima richiesta viene dalle persone in difficoltà che premono per ottenere risposte in base a leggi esistenti, che però vengono intralciate da più parti. Sono persone fragili che trovano difficoltà a fruire dei loro diritti essenziali, tra cui ottenere assistenza, educazione, formazione, trasporto, riabilitazione, socializzazione…
Penso agli oltre 23 mila bambini e bambine calcolati in Calabria che presentano difficoltà di apprendimento, di lettura e di espressione. Si tratta di diritti che sono mediati nella loro esecuzione. Dove Enti e Istituzioni non implementano modalità e procedure atte a soddisfare questi diritti… Cosa fa la Giustizia in Calabria?

Penso alla sanità e all’assistenza sociale dove molti diritti non sono diretti ma mediati da interventi, professionisti, attrezzature, organizzazione e altro. Così le scuole di ogni ordine e grado.
Penso alle dipendenze da varie droghe, all’azzardo scambiato per gioco ma compulsivo al punto da venirne coinvolti e sottomessi, in una Regione che non ha recepito tutti i servizi previsti, ad esempio per la doppia diagnosi, le comunità con mamme e bambini, e altri.
Penso al disagio psichiatrico, specie a quando diventa ingestibile dalla persona stessa e dai familiari che si scoprono con pochi aiuti pur avendone diritto sulla carta, ma non sono previsti idonei servizi territoriali intermedi.
Penso alle persone con disabilità o anziane non autosufficienti a vestirsi, lavarsi, passeggiare, e in
solitudine crescente.
Penso soprattutto ai diritti che la Regione Calabria non recepisce nelle sue leggi sociali, non finanzia e nemmeno prevede.

L’esperienza di chi si prende cura di simili situazioni segnala la necessità che la giustizia in generale operi al meglio per la fruizione di questi diritti “imperfetti”, o “condizionati” perché chiamano in gioco leggi, finanziamenti, precise modalità e strumenti, insieme a delle responsabilità istituzionali, sociali, professionali, individuali, e perfino il soggetto fruitore.

Trascurare ciò, fragilizza ulteriormente le persone deboli, e la Sicurezza Pubblica interviene sempre quando il danno è già fatto. Sarà possibile agire prima? Ci si augura che alcune delle sentenze emesse proprio in Calabria pochi mesi fa, possano invertire la rotta.
Infatti, è indispensabile che la Giustizia intervenga per correggere i ritardi e le inefficienze delle Pubbliche Amministrazioni per rendere effettivi quei diritti che rischiano di essere solo diritti sulla carta.

Per questo, per rilanciare il diritto di vivere appieno che spetta a tutte le persone in quanto tali, necessita tirare in ballo anche la Sicurezza Sociale che è precipuamente chiamata a operare in modo che poteri, enti e Istituzioni accompagnino le persone fragili a vivere una vita degna, a fruire dei propri diritti compresa la gratificazione di poter esercitare i propri doveri.

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Una giustizia credibile e partecipata

La seconda proposta viene da associazioni che esprimono la loro cittadinanza in Calabria utilizzando i beni confiscati alle organizzazioni mafiose per fini di solidarietà.
In 134 comuni calabresi, i beni confiscati si traducono in 227 aziende operative mentre 326 sono ferme. Ci sono anche 3.119 beni immobili destinati e altri 1.931 fermi.
L’ultima relazione al Parlamento della DIA ha valutato in 35 miliardi di Euro i 24.693 immobili in Italia che sono in attesa di destinazione. Che fare di tanti immobili così immobilizzati?

Le associazioni di cui parlo sono aggregazioni a motivazione ideale, ambiscono portare la giustizia in una più alta dignità civile, culturale e politica. Sono persuase che i cosiddetti beni tolti ai mafiosi fanno male se li si lascia vuoti e nell’incuria. Domandano fin dove e se sia o no reato lasciarli in uno stato di degrado.


Esse tuttavia si impegnano a corresponsabilizzarsi per unire al meglio paese legale e paese reale. Scongiurano di fare come quei tanti occhi orecchi e bocche che sono rimasti ciechi sordi e muti nei 30 anni di latitanza di Matteo Messina Denaro, perché non vogliono snaturare sé stessi né sottomettersi a qualsivoglia sistema illegale delittuoso. La proposta è la scommessa di impegnarsi per un migliore utilizzo dei beni confiscati, intrecciando differenti soggetti quali lo Stato e le varie Istituzioni, il profit e il non profit, cultura e socialità. Parecchi non sono altro che beni comuni da poter fruire in comune e che si possono trasformare in volano di economia civile.


Sul territorio di ogni comunità, un bene confiscato parla da sé, dice di cittadinanza o di indifferenza, di libertà o di sottomissione, a seconda di come un popolo gli si rapporta. E la credibilità democratica di ogni comunità umana e politica passa anche da qui.».

Conferenza stampa del Presidente del Consiglio Mario Draghi

A chi giova questa riforma? Don Panizza tra i firmatari dell’ appello contro la Riforma Cartabia?

Anche la  Calabria sottoscrive l’ appello contro la riforma Cartabia.

Tra i nomi: Salvatore Borsellino, il testimone di giustizia Gaetano Saffioti, Rosanna Grisolia del Comitato anti ‘Ndrangheta in Memoria di Giannino Losardo e Francesco Martorelli, don Giacomo Panizza (Comunità Progetto Sud), Elio Veltri, già sindaco di Pavia, Rosaria Scarpulla e Francesco Vinci, madre e padre di Matteo, ucciso con un autobomba, Francesco Di Lieto del Codacons e don Ennio Stamile di Libera.

«Facciamo appello a cittadini, avvocati, magistrati, ai sindacati, alla Chiesa e a tutte le agenzie educative, alle associazioni e ai candidati e alle candidate della Regione Calabria: esprimetevi sulla riforma Cartabia. Abbiate il senso civico di esternare con chiarezza le vostre posizioni, non trinceratevi dietro inutili diversivi! Una Calabria nuova, forse, oggi può nascere proprio dalla rottura del silenzio».

«Una riforma – è sottoscritto  – che potrebbe uccidere il 50% dei processi e tutto tace; quasi tutta l’informazione ha come notizia di apertura il dibattito sul green pass. Assistiamo ad un assalto della giustizia da parte del Governo Draghi, con un ministro che vuole trasformare la riforma in un oltraggio alla giustizia stessa. Accodati all’ informazione dominante, la politica, gli intellettuali, la società civile, l’avvocatura e la magistratura (salvo rare eccezioni con modalità a volte inefficaci e tardive) tacciono o meglio ringraziano, perché altrimenti non prendiamo i soldi dall’ Europa. Ma soprattutto la preoccupazione generale è di non turbare l’attività del Draghi ‘ex machina’ che quei soldi ce li ha garantiti. Nel silenzio assordante si ode qualche piccolo balbettio da parte di quello che fu il M5S. Ma il silenzio che più ci offende e ci indigna è quello della Calabria, regione in cui sono in corso importanti processi contro la criminalità mafia-massonica. Nessuna reazione alle parole di preoccupazione espresse da Gratteri in audizione alla Commissione giustizia. Dov’è finito il popolo variegato che un paio di anni fa aveva promesso di non lasciare solo il procuratore antimafia di Catanzaro? L’ informazione, i partiti, la società civile, le sardine, tutti ottenebrati dal fascino Draghi-Cartabia? E dalle altre procure calabresi, si batterà un colpo?»

«La Riforma – si legge ancora – è un oltraggio a tutti i cittadini che non saranno mai tutelati di fronte alla legge, perché molti processi abortiranno, anche quelli che riguardano reati contro la pubblica amministrazione e il fine della giustizia non sarà più quello di arrivare alla verità processuale ma quello di guadagnare l’improcedibilità. Quindi, processi morti, nessun colpevole, nessuna vittima. Inoltre la riforma non dà gli strumenti, il personale adatto per garantire i tempi di un processo adeguato e giusto. A chi giova questa riforma?»